In principio fu Geena Davis che nel 1992, per la première del film Ragazze vincenti, indossò un tubino decorato con impunture che ricordavano una palla da baseball. Una principiante in confronto a Zendaya, ma d’altra parte stiamo parlando di oltre 30 anni fa e di una mossa fashion giudicata alquanto bizzarra a quei tempi che oggi è diventata fenomeno tra i più diffusi e redditizi.

Method dressing: di cosa si tratta

Foto IPA

Si chiama method dressing e, dietro outfit che sembrano creati per divertire sia chi li veste sia chi li guarda, nasconde una tecnica di marketing più potente e incisiva di qualsiasi altro mezzo. Anche se, in qualche modo, a lungo andare potrebbe mettere a rischio il carisma della (vera) personalità delle attrici che di questa arte sono diventate maestre.

Funziona così: quando partecipano a cerimonie ufficiali, photocall ed eventi, le star continuano a vestire i panni – nel vero senso della parola – dei loro personaggi. Lo hanno fatto, per esempio, l’Angelina Jolie di Maleficent, in un abito stregato con spilla-scorpione di Versace; la Anya Taylor-Joy di Furiosa, in corsetto-armatura firmato Balmain, e di Dune: Part Two, in abito virginale e velo di Dior Couture. E ancora: Dakota Johnson si è avvolta in una ragnatela con rugiada di cristalli firmati Annie’s Ibiza per pubblicizzare Madame Web, mentre Halle Bailey, per La Sirenetta, si è presentata fasciata in un abito fluido del dream maker albanese Valdrin Sahiti.

Menzione speciale alla pioniera Blake Lively, che nel 2015, durante il tour stampa per Adaline – L’eterna giovinezza, sfoggiò 15 abiti ispirati alla protagonista nell’arco di 2 giorni, cambiandone 10 in sole 24 ore. Eccessivo? Può darsi, eppure la copertura mediatica attorno a questi outfit, che hanno fatto impazzire il web, ha funzionato come una straordinaria pubblicità gratuita per la pellicola.

Barbie: quando il method dressing lancia un trend

Foto Craig McDean

Poi, è arrivata Barbie e tutti, anche i nemici giurati dei colori candy, abbiamo iniziato a vedere la vita in rosa e ad addolcire il nostro guardaroba. Lo stylist Andrew Mukamal ha trasformato Margot Robbie nella bambola Mattel, tingendo di rosa i tappeti rossi e i social con outfit firmati dalle più grandi case di moda. Risultato: non c’era vetrina che non fosse rosa, non c’era story in cui il “Barbie pink” non regnasse sovrano e il film ha vinto (anche) il Golden Globe per miglior risultato al box office.

Con Barbie il method dressing ha sfoderato tutto il suo potenziale: il press tour del film di Greta Gerwig è stato una campagna mediatica dal successo senza precedenti, anche e soprattutto per merito della moda. Tanto che, alla fine, i look selezionati da Mukamal sono stati raccolti nel libro Barbie. The World Tour, pubblicato in Italia da Rizzoli. Altro successo.

Zendaya e Law Roach, i migliori

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Ma la regina del method dressing è Zendaya. In coppia con il suo stylist Law Roach, ha spinto la pratica oltre ogni limite. Sono stati loro due, con la fine della pandemia e il ritorno, lento, nei cinema, a dare una svolta decisiva al trend. Durante la promozione di Spiderman: No way home e delle due parti di Dune, l’attrice ha sfoggiato una raffica di look griffatissimi e condivisi a ciclo continuo per la gioia dei fan, degli amanti della moda e dell’industria cinematografica. Che, grazie al method dressing, ha trasformato i social media in strumenti fondamentali per raggiungere un pubblico sempre più vasto.

La ciliegina sulla torta è stato il tour promozionale di Challengers di Luca Guadagnino, che vede Zendaya nel ruolo di una tennista. Da marzo l’attrice si è presentata in ogni dove con mises a tema, per lo più create da J.W. Anderson per Loewe, artefice degli outfit della pellicola, scatenando un bombardamento mediatico e virale. Secondo Google Trends Data, fra l’aprile 2023 e l’aprile 2024 le ricerche globali per look a tema sono aumentate nel mondo del 65%. Insomma, è anche grazie a lei (oltre che a Jannik Sinner) se ci troviamo nel bel mezzo di una febbre da tennis-core.

Method dressing: radici e obiettivi

Il method dressing affonda le sue radici in tecniche interessanti come il cosplay, la pratica giapponese di interpretare mode e modi di un manga. Ma anche nel metodo di recitazione Stanislavskij, che incoraggia gli attori a immergersi nei ruoli attraverso una profonda immedesimazione. Oggi è una pratica sistematica: non serve a migliorare la prestazione artistica, ma a far chiacchierare. I vestiti a tema creano curiosità e attesa, sono fotografati, commentati, condivisi e fanno parlare del film, incrementando gli incassi. È l’opportunità figlia di questi nostri tempi: raggiunge l’obiettivo con sforzo moderato e resa alle stelle.

Cosa si rischia abusando di questo genere di pubblicità? Che il fenomeno generi noia. Per scongiurare il pericolo bisogna che attrici e stylist siano bravissimi a non valicare il confine tra glamour e travestimento. Che non si prendano troppo sul serio (Zendaya e Roach, maestri del method dressing, per esempio, hanno scherzato sul tormentone tennis-core ripostando un’immagine creata con l’AI in cui lei indossa un’enorme pallina da tennis).

E che permettano anche allo stile personale dell’attore in questione di emergere. Perché, insomma, va bene risvegliare l’interesse nei confronti della settima arte, ma proviamo a pensare anche alle povere Ariana Grande e Cynthia Erivo, protagoniste di Wicked. È da mesi che le due si vestono una di rosa e l’altra di verde come i personaggi del film, adattamento cinematografico del musical tratto dal romanzo Strega – Cronache dal Regno di Oz in rivolta di Gregory Maguire, a sua volta rivisitazione del Meraviglioso mago di Oz di L. Frank Baum. Cosa c’è di strano? Che loro hanno cominciato a reggere il gioco a inizio 2024, ma la pellicola sarà nelle sale a fine novembre… E, francamente, il troppo stroppia.