Tanta voglia di giocare, di fare ‘rivoluzione’, di ‘vivere’ a colori. Ma soprattutto di esaltare la femminilità a 360 gradi. Nella sette giorni di Milano Moda Donna – che ha visto sfilare le collezioni per l’autunno inverno 2019 2020 dal 19 al 25 febbraio – si assiste al debutto in passerella di United Colors of Benetton con la ‘The Rainbow Machine’ firmata da Jean-Charles de Castelbajac, si tenta la fortuna al Game Show di Moschino, si apprezza il fascino dell’imprevisto con Alberta Ferretti, si indossano le maschere di Gucci e si dà un nuovo valore al glamour con Max Mara. Ma ancora si scorge la dicotomia tra lusso e grunge di Versace e si brinda al secondo round dei Genius di Moncler mentre nel frattempo sulla passerella di Fendi si rende omaggio all’appena scomparso Karl Lagerfeld. E non è tutto. Ti portiamo con noi nella fashion week meneghina con racconti e dettagli minuziosi. Pronta a immergerti? Ecco le nostre recensioni!
Il fascino dell’imprevisto di Alberta Ferretti
Da Alberta Ferretti il daywear si libera di soluzioni prevedibili per privilegiare uno stile personale e non convenzionale. Il tema è proprio il ‘fascino dell’imprevisto’ che invita a osare e a uscire dagli schemi per comunicare il proprio carattere.
E infatti sono proprio la personalità, gli atteggiamenti, i pensieri e i sentimenti, i diktat di questa sfilata. Che si concretizzano in un abbigliamento autentico che permetta di distinguersi esprimendo se stesse al meglio. In che modo? Con tagli maschili, richiami agli anni 80 e maxi ruches per il giorno; tocchi di oro e argento, trasparenze sensuali ma bon ton e paillettes all over per la sera. Il tutto completato con accessori per vere donne grintose: orecchini scultura in formato maxi, cappelli a tesa dritta e larga, texani e cinture da cowboy, guanti lunghissimi da diva e seduttrice.
Il dna della donna Ferretti non cambia, certo, ma si fa più contemporaneo e coerente con il suo stile di vita.
Moncler Genius al secondo round
Da Moncler, a un anno dal debutto, si ripropone il progetto ‘incubatore’ di designer – che quest’anno cresce. Sale a 10 infatti il numero di menti creative che interpretano il brand con la propria visione e di questa ne fanno una collezione. Sono definiti Genius, operano individualmente e sono Pierpaolo Piccioli & Liya Kebede, Sandro Mandrino per 3 Moncler Grenoble, Simone Rocha, Craig Green, Fragment Hiroshi Fujiwara, Palm Angels Francesco Ragazzi e Poldo Dog Couture. Cui per questa nuova edizione si aggiungono Sergio Zambon e Veronica Leoni per 2 Moncler 1952, Matthew Williams di 1017 ALYX 9SM e Richard Quinn. E altrettanto individuale è il lancio delle loro collezioni che vengono svelate singolarmente con un calendario articolato in progetti mensili, virtuali e reali, online e offline. E che permettono al marchio di dialogare con pubblici diversi ma specifici, dando vita a una community globale, quella di Moncler appunto.
E così ecco le silhouette audaci e ricche di ricami firmate Piccioli, la sorprendente stratificazione di materiali e forme di Leoni, l’opulenza estrosa di Quinn, la collezione da montagna ispirata alla cultura hippy degli anni 70 di Mandrino. E poi ancora il tripudio di un romanticismo che riconduce subito a Rocha, i volumi importanti composti da moduli leggeri, ripiegabili e richiudibili di Green, il gusto metropolitano e industriale di Williams, l’equilibrio di Fujiwara tra riferimenti vintage, militari, urban e tech. Non passano inosservate le provocazioni di Ragazzi che lavora con volumi maxi, forme audaci e superfici laminate. Mentre Poldo Dog Couture propone il classico gilet in piumino … per gli amici a 4 zampe.
Il potere nel glamour da Max Mara
E se ci chiedessimo quale sia l’ingrediente magico che infonde energia al power dressing? La risposta di Max Mara è il glamour che, sebbene sia sempre uscito sconfitto nei dibattiti su moda e femminismo, permette alla donna di risplendere di luce propria e la conduce verso l’autoaffermazione con, a sua disposizione, un arsenale di trucchi, personaggi e strumenti. E così la donna di Max Mara diventa una ‘boss lady’, scaltra, intelligente e più alla moda di quanto non sia mai stata. È felice, eroica e veste gonne che sembrano ricavate da pantaloni maschili – sopra il ginocchio o alla caviglia – abbinati a stivali alti e a dolcevita. E si diverte con i mix & match: combina alpaca, cammello e cashmere con la pelle.
Quella donna scava nell’archivio della maison per riscoprire stampe heritage, indossa la tuta da lavoro, gilet, giacche e gonne utility, con tasche e zip, dal taglio sartoriale. E mescola il tweed con stampe check, cocco e zebra. O ancora veste gilet, il Teddy bear coat in audaci colori come ciano, turchese o giallo mais. Per un tripudio di stampe e colori accattivanti, per non passare inosservate.
Alla fashion week spunta l’arcobaleno di Benetton
Un’esplosione di colori tiene testa anche in casa Benetton. Non è un caso se la prima sfilata del marchio sia stata battezzata ‘The Rainbow Machine‘: l’arcobaleno è un tema molto caro sia a Luciano Benetton sia al nuovo direttore artistico Jean-Charles de Castelbajac; la macchina invece è un omaggio alla tradizione industriale dell’azienda. Entrambi presenti in passerella. A far da sfondo al fashion show infatti macchinari in azione e operai a lavoro, mentre tutto intorno sfila un tripudio di tinte vivaci e vitaminiche accostate tra loro – giallo, rosso, verde, blu e qualche punta di nero – marsupi in formato maxi, ecopellicce eccentriche, la stampa di Topolino, righe e rombi a profusione. Per un risultato brioso e concettuale che ha messo in risalto l’heritage del marchio: il logo, il colore, la maglia tinta in capo, l’attitudine sportiva ed easy chic.
L’aristo-indie targato Etro
Quando gli accenti indie contaminano lo splendore vittoriano e un inequivocabile accento British, siamo da Etro dove si gioca con note anarchiche e si va a rivisitare l’heritage senza intaccare la vivacità che caratterizza lo spirito della maison. L’eleganza è volutamente imperfetta, l’aspetto vissuto. E la tradizione viene rivoluzionata tenendo fede alla sua parte più autentica e nobile.
Si gioca con le sovrapposizioni cosicché i boxer da uomo si trasformano in mini shorts da indossare sotto gli shirt-dress coordinati. Il paisley viene declinato su stoffe d’arredamento e si alterna ai tessuti cravatteria di piccoli bustier, camicie ed abiti dal taglio maschile. Lo stile preppy viene rivisitato con un tocco grunge underground.
C’è l’abito blazer, ci sono le cinture a vita alta, i corsetti stringi vita e le silhouette – di gonne e abiti – d’ispirazione regale. A illuminare il tutto poi ricami e paillettes che tempestano di luce abiti da sera e boots a doppia fibbia. Ma soprattutto ci sono icone della moda di diverse età come Edie Campbell, Alek Wek, Farida Khelfa, Jacquetta Wheeler, Liisa Winkler, Tasha Tilberg, Tatjana Patitz, Violetta Sanchez, Guinevere Van Seenus, Delfine Bafort, Adut Akech Bior, Fran Summers, Rebecca Laird e Gemma Ward. Scelte da Veronica Etro, ovviamente, a sottolineare il dna del brand.
Tempo di giocare con Marni
Marni invece ci invita a giocare in una escape room senza confini per uno strip game fatto di esercizi di controcensura. A vincere sarà il più frivolo. Il consiglio è di non lasciarsi illudere – quel che da lontano appare in un modo, da vicino è altro – e di fare attenzione alle donne che deambulano nello spazio.
Nulla è come appare, tutto è in movimento. Le pieghe deviano, si attorcigliano e si aprono sugli abiti e sui kilt, oppure percorrono sciarpe che sono ritagli di vestine, avvolte intorno al collo. Le giacche e i cappotti maschili si sfaldano. Gli anelli di fidanzamento tengono insieme le tuniche liquide, mentre le stampe pixellate creano pattern ipnotici. Languori fluidi si alternano a fermezze marziali: uniformi da lavoro, drappeggi.
Ci sono finanche catene infinite come collane composite, gli stivali a tubo, gli scarponcini dagli alti plateau. E poi borse capienti e piccoli portafogli.