La prima, insospettabile trendsetter è stata Bridget Jones, che alla fine del primo film (del quarto sono in corso le riprese, approderà al cinema il 14 febbraio 2025) esce di casa sfoggiando un paio di mutande animalier sotto un cardigan per rincorrere il suo amore. Antesignana nel lontano 2001, senza neppure sospettarlo, di una tendenza che quest’estate promette di spopolare, scendendo dal piedistallo delle passerelle per conquistarsi il suo posto nel nostro comunissimo mondo. Pronte per andare in giro in mutande?
Ode alle mutande nella moda: pro o contro?
Slip e culotte hanno fatto un upgrade: dal cassetto della biancheria sono passate direttamente sulle passerelle. Se ne sono viste di ogni colore e materiale, di ogni fantasia e decoro. Si sono viste sopra collant di pizzo o sotto abiti trasparenti, a sostituire gonne e pantaloni come se fosse una delle cose più naturali del mondo. Eppure i più sono rimasti turbati. Forse, di fronte a una donna in mutande, siamo tutti costretti a confrontarci con tanti preconcetti e perbenismi. Siamo ancora in bilico tra Carrie Bradshaw, che in un vecchio episodio di Sex & The City, rifiutava di sfilare in mutande davanti alla stampa di mezzo mondo per non perdere la sua dignità di donna e scrittrice, e Wonder Woman, che delle sue mutande a stelle fece un simbolo di potere (e di grande agilità!).
A giudicare dalle celeb, che hanno fatto subito propria la tendenza, diremmo che il trend delle mutande a vista abbia ottime chance di conquistare anche chi non è una star né una supereroina, sebbene si siano già create fazioni opposte proprio tra chi la moda la fa e la vende. Ma perché tutto questo trambusto attorno alle mutande? E perché questo capo, fino a poco tempo fa tenuto nascosto, ha smesso di far parte della categoria underwear per rivendicare un posto che più di spicco non si può? Queste stesse domande pare se le siano poste anche due grandi big del fashion system, dandosi risposte opposte.
Il mondo della moda combattuto
Da una parte Miuccia Prada, che se fosse stata più giovane sarebbe uscita senz’altro in mutande (lo ha dichiarato lei stessa). Non a caso, è proprio la signora della moda milanese l’artefice degli slip più cool che dallo scorso inverno invadono i red carpet più prestigiosi. La prima a sfoggiarle in twin set con il golfino è stata Emma Corrin (l’attrice che ha interpretato la giovane Lady D in The Crown) al Festival del Cinema di Venezia a settembre. Dopo il suo exploit, la piattaforma Lyst ha riportato un’impennata della ricerca di questa mise sul web pari al 170% in sole 24 ore. Un record. Pareva volessimo tutte andare in giro smutandate!
Poi è arrivata la dichiarazione raggelante di Giorgio Armani – «Sono stufo di vedere una matta che gira in mutande in via Montenapoleone!» – per esternare il suo malcontento verso una moda che poco avrebbe a che fare con le donne vere e di buon gusto. Eppure la moda passa anche da qui, e non è certo una novità. La lingerie in mostra non è una news di stagione. «Questo ribaltamento del sopra e del sotto dell’abbigliamento stupisce e fa parlare di sé ogni volta che, ciclicamente, riappare» spiega Eleonora Chiais, ricercatrice all’Università di Torino, dove insegna Moda e Costume e Fashion and Creativity, e docente di Storia del Costume e della Moda all’Università di Bologna.
E se la moda fosse, un’altra volta, più avanti?
«D’altra parte, questi movimenti di rottura nascono proprio per provocare. Già il semiologo Roland Barthes ce li ricordava nel suo Sistema della Moda pubblicato nel 1967, sostenendo che i fenomeni dell’abbigliamento raramente sono basati su scelte individuali e personali ma, al contrario, sono scelte dettate da codici etici e sociali culturalmente condivisi in un dato momento». La domanda è legittima: quali sono questi codici odierni che ci ispirerebbero ad andare in giro in mutande? La parola d’ordine legata a ogni paio di mutande sfoggiato pare essere una e una soltanto: rivendicare libertà.
Come dovremmo interpretare, noi, questa tendenza audace e dirompente? Come si combina con la nostra quotidianità? Se da una parte tutti i direttori creativi ci propongono di andare in giro libere, senza pantaloni, dall’altra c’è un sondaggio simbolico diventato virale sui social (che potrebbe sembrare stupido ma non lo è) in cui emerge che un’altissima percentuale di donne preferirebbe incontrare, in un bosco, un orso piuttosto che un uomo.
Mutande: un messaggio sociale, oltre la moda
«La moda non vive in un mondo parallelo, è ben radicata nella realtà che spesso trasforma, anche lanciando provocazioni e proiezioni verso un futuro migliore, dove ci si potrà vestire come si vuole senza mai sentirsi a disagio o minacciati» spiega Eugenio Gallavotti, docente di Giornalismo e Comunicazione della moda all’Università Statale e allo Iulm di Milano. Sulla stessa linea Eleonora Chiais: «La moda utilizza questa evidente provocazione per andare nella via dell’inclusività e, a costo di apparire sfasata rispetto ai fatti di cronaca contemporanei, proporsi davvero come un veicolo di liberazione del corpo e di libertà tout-court».
Care mutande, perdonateci. Non avevamo capito che oltre a voler riscattare la vostra sorte uscendo finalmente allo scoperto in un trionfo di stili, volevate risollevare anche la nostra, facendoci prima di tutto risparmiare un sacco di tempo alla ricerca dell’abbinamento gonna-camicia perfetto e risolvendo l’eterno dilemma tra pantaloni slim o a gamba larga, orlo lungo o corto, shape fasciante o over…
Non avevamo capito che questo volervi mettere a tutti i costi in mostra era in realtà un invito a immaginare una società più libera, creativa e inclusiva, dove la moda realizza se stessa ovvero ridiventa ciò che è sempre stata: un potente mezzo di espressione e di emancipazione personale e collettiva. Una rivoluzione silenziosa che, fuori dalla cesta dei panni, sa fare un grande rumore.