Noi ricordiamo Gianfranco Ferré come re della camicia bianca. Ma quelli dell’ambiente moda lo chiamavano “l’architetto dello stile”, anche se a lui quella definizione andava un po’ stretta perché enfatizzava l’aspetto tecnico del suo lavoro, mettendo in secondo piano la passione e l’incanto che trasparivano in ogni sua creazione. Ma Ferré architetto lo era per davvero. Da quella dimensione aveva portato il rigore del metodo progettuale, lo studio accurato di forme, linee e volumi, la ricerca sui materiali a cui aveva unito il senso del sogno, un’eccezionale sensibilità artistica, tocchi di poetica stravaganza, la capacità di sprigionare dai vestiti emozioni.

Gianfranco Ferré e la mostra a Legnano

“Gianfranco Ferré tra ragione e sentimento”, nella Sala degli Stemmi di Palazzo Malinverni a Legnano (Mi), è aperta fino al 6 ottobre ed è a ingresso libero

Tra ragione e sentimento, che è anche il titolo della mostra a lui dedicata, curata dal Centro di Ricerca Gianfranco Ferré del Politecnico di Milano in collaborazione con il Comune di Legnano. L’iniziativa, che si chiude il 6 ottobre, fa parte degli eventi celebrativi con i quali la città natale di uno dei più grandi stilisti italiani di sempre festeggia anche il proprio centenario. Allestita nella raffinata sala degli Stemmi di Palazzo Malinverni dall’architetto Martino Berghinz, la mostra racconta – attraverso abiti e disegni, immagini e video provenienti dall’archivio Ferré – il percorso e il linguaggio creativo di un grande della moda, scomparso nel 2007, che quest’anno avrebbe compiuto 80 anni.

Gianfranco Ferré e l’invenzione della camicia bianca

In mostra vedremo dei capolavori. A partire da una luminosa vertigine di organza di seta, piquet e crêpe de chine, taffettà e gazar di seta, intarsi di merletti, pizzi e tulle di nylon e cotone, i variegati tessuti che animano 12 capolavori di maestria artigianale e design, di fantasia e tecnica, declinazioni dell’emblema dello suo stile: cioè Gianfranco Ferré e la camicia bianca, che disegnata da lui diventò perfetta.

La camicia Sailor Glam, primavera 1982. Courtesy of Centro di Ricerca Gianfranco Ferré, Politecnico di Milano

E così, ecco la Sailor Glam, modello dal maxi colletto della collezione prêt-à-porter primavera 1982, dedicata alla Marina e alle sue divise. La spettacolare blusa Origami decorata a taglio laser. L’abbagliante Merveilleuse della linea autunno-inverno 2003, come un vestito che copre e rivela, omaggio alla chemise à la reine, il rivoluzionario capo lanciato verso fine ’700 dalla regina di Francia Maria Antonietta. La camicia Milonga, con il suo raffinato gioco di balze sovrapposte, che ha sfilato in passerella nel 2005, richiamando le atmosfere del folk sudamericano.

Dalla sfilata Spring/Summer 2004. Foto: Getty Images

La camicia bianca, ogni volta diversa

Rubata al guardaroba di lui, con Gianfranco Ferré la camicia bianca è diventata caposaldo di ogni ideale armadio femminile, rivelandosi, attraverso infinite declinazioni, stimolo incredibile al suo desiderio di inventare. Leggera e fluttuante, severa o sontuosa, vaporosa o aderente come una seconda pelle, «mai uguale a se stessa eppure inconfondibile nella sua identità» così la descriveva lo stesso stilista.

Ed è qui, tra tagli impeccabili e spire di tessuto, una delle sue intuizioni più grandi: riscrivere i canoni dell’eleganza giocando tra progetto e fantasia

Come aveva fatto con i suoi primi bijoux futuristici, scoperti da Rosy e Adele Biffi, fondatrici dell’omonima boutique milanese, e segnalati da giornaliste come Anna Piaggi e Camilla Cederna. Furono quelle creazioni che incrociavano il gusto per il design a echi di pop art a inaugurare il suo percorso come creatore di moda. 

Dalla sfilata primavera 1988. Foto: Getty Images

L’ispirazione nata in famiglia

Fin da bambino, Ferré era rimasto affascinato dai dettagli delle camicie della madre e dai completi in flanella grigia e dalle cravatte del padre, proprietario di una piccola impresa. Nato a Legnano il 15 agosto 1944, in una famiglia borghese, dopo il liceo scientifico scelse di studiare Architettura perché spinto dall’impulso ineludibile che l’ha sempre contraddistinto: progettare per fare qualcosa di nuovo. Alla laurea nel 1969, conseguita al Politecnico di Milano, seguirono i primi passi nel mondo della moda, accompagnati da quegli accessori creati quasi per caso per amiche e compagne di studi con plexiglass e materiali di scarto che lo portarono a collaborare con Fiorucci e Walter Albini.

Gianfranco Ferré: vestiva sempre in giacca e cravatta, che fermava con una spilla da balia. Foto di, Aldo Castoldi – Courtesy of Centro di Ricerca Gianfranco Ferré, Politecnico di Milano

I primi viaggi in India nel 1973 per conto del marchio sportivo Ketch segnarono l’incontro fulminante con l’Oriente. Fu lì che Ferré si innamorò dei toni luminosi e solari – il rosso, il blu e le nuance delle spezie – e di abiti tradizionali come il sari che lo portarono a riflettere sul concetto di eleganza e sul rapporto tra vestiti e movimenti del corpo. Il 1974, segnò invece l’esordio in passerella con Baila, linea di Franco Mattioli che diventerà suo socio. Quattro anni dopo, Ferré creò la propria casa di moda debuttando con una collezione salutata subito con favore dalla stampa per il rigore delle linee e la pulizia dei colori. In poco tempo entrò a far parte di quei maestri dell’italian style, insieme a nomi del calibro di Armani, Valentino, Versace e Krizia, che tra gli anni ’80 e ’90 conquistarono fama planetaria con le loro creazioni. 

La camicia Dumas, autunno 1982. Courtesy of Centro di Ricerca Gianfranco Ferré, Politecnico di Milano

L’incoronazione da Dior

Alla collezione maschile, seguì l’ingresso nell’alta moda. Nel 1989 divenne il primo designer non francese a essere nominato direttore creativo di Christian Dior: per 7 anni alla guida di una delle maison più blasonate del mondo ci fu lui, Gianfranco Ferré, con la sua cifra stilistica che fondeva tradizione sartoriale e avanguardia, arte e tecnica in un glamour essenziale e ricercato acceso da effetti spettacolari, fatti di dettagli e lavorazioni preziose.

Lo stilista a Parigi con i bozzetti della collezione Dior Haute Couture, primavera 1990. Foto: Getty Images

Una creatività, la sua, che si esprimeva sin dagli schizzi degli abiti, come quelli che si possono vedere in mostra, da lui chiamati “istanze di poesia”, segni improvvisi della sua visione di bellezza e armonia, oltre che sintesi di quei principi fondamentali, tra rigore e passione, che l’hanno ispirato come fashion designer. «Una personale “metodologia”, una dimensione piuttosto inusuale da codificare nella moda» scrivono Paola Bertola, Federica Vacca e Rita Airaghi, autrici del catalogo della mostra.

Un bozzetto di Ferré. Courtesy of Centro di Ricerca Gianfranco Ferré, Politecnico di Milano

Corpo, materia, colore, dettaglio, volume e movimento sono le parti di una meravigliosa composizione che si esprimeva in capi pratici, pensati per fare sentire le donne a loro agio, come il trench modello camicia da infilare in borsa, ma anche con défilé indimenticabili, uno tra tutti quello in cui Naomi Campbell sfilò avvolta solo da fili di corallo.

Per Ferré la moda era logica e sogno

Gianfranco Ferré amava anche insegnare ai giovani: negli anni tenne corsi alla Domus Academy e al Politecnico di Milano, e molti altri in giro per il mondo. Nel 2007 fu nominato Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera, ma poco dopo, il 17 giugno, ci lasciò per sempre. Nel 2014, la sua casa di moda, acquisita nel tempo da varie holding, ha chiuso definitivamente i battenti. Della sua meravigliosa e non replicabile avventura, rimane l’eredità incancellabile della creatività conservata negli archivi. Dalla quale sprigiona una moda che è la definizione ripetuta sempre da Ferré ai suoi studenti:

Logica, metodo, sistema. È un lavoro, anzi tanti lavori. Ma è anche sogno.

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