In un momento in cui si parla sempre di più di cambiamenti climatici e di impatto ambientale – del modo in cui facciamo la spesa, della plastica che utilizziamo, degli aerei che prendiamo – c’è un altro aspetto delle nostre vite quotidiane che spesso finisce sotto accusa. Sono i vestiti che indossiamo.
Com’è noto, l’industria tessile è tra le più inquinanti del pianeta: secondo un recente studio riportato da Fast Company, nel 2016 abbigliamento e calzature hanno prodotto qualcosa come 3.990 milioni di tonnellate di anidride carbonica, che rappresentano oltre l’8% dell’impatto climatico globale. La produzione di tessuti produce ogni anno 1,2 miliardi di tonnellate di emissioni di gas serra, più di tutti i voli internazionali e viaggi marittimi messi insieme.
Per tutti questi motivi, i capi e gli accessori che riempiono i nostri armadi sono degli elementi tutt’altro che trascurabili nella costruzione di un mondo più green.
Il sito che che calcola quanto inquinano i tuoi abiti
Si chiama Fashion Footprint Calculator ed è uno strumento gratuito, disponibile online, con cui “misurare” l’impatto ecologico del nostro guardaroba e delle nostre abitudini di consumo in fatto di abbigliamento. Si tratta di un questionario (in inglese) di 12 semplici domande – quante volte acquisti vestiti, se acquisti online o in negozio, quante lavatrici al mese fai, se compri abiti usati o solo nuovi, se ripari quello che hai comprato o butti via – ed è stato messo a punto da ThreadUp, il negozio dell’usato più grande al mondo, che ha sede a San Francisco.
In base alle risposte, il Fashion Calculator elabora la tua personale “impronta ecologica” confrontandola con la media nazionale (in questo caso quella americana, che è di 1,620 libbre a persona). È un esercizio utile se non altro per fermarsi a riflettere su alcune abitudini piuttosto comuni – come gli acquisti compulsivi da fast fashion o la tendenza a disfarsi dei capi senza riciclarli, donarli o tentare di ripararli – che si possono correggere senza troppo sforzo.
Gli abiti fanno parte della “value chain”
Lo spiegava bene Orsola De Castro nell’intervista del nostro podcast Donne come noi. De Castro è infatti co-fondatrice e Creative Director di Fashion Revolution, un movimento internazionale che unisce designer, accademici, scrittori, case di moda, negozi, produttori e lavoratori del tessile che si impegnano per costruire un’industria della moda più etica.
«La prima cosa che io consiglio sempre a tutti è di immaginare che il proprio armadio fa parte della value chain, e cioè di una catena di valore. Noi siamo esattamente a tre quarti della filiera tessile: nel momento in cui noi compriamo un vestito la filiera non si ferma lì. Portiamo avanti quel vestito fino alla sua morte ed è quella la parte della filiera della quale siamo responsabili noi. Siamo nella filiera e abbiamo modo di influenzarla», dice l’esperta di riciclo. Il che significa che quando compriamo un vestito, dobbiamo pensare a come lavarlo, conservarlo e smaltirlo in modo corretto: il guardaroba (e l’ambiente) non potrà che beneficiarne.