Cosa hanno in comune una traversata oceanica in solitaria e la limitazione della libertà che stiamo vivendo? Più di quanto crediamo. Parola di Alex Bellini, 42 anni, protagonista di imprese estreme per terra e per mare. Ha solcato l’Atlantico e il Pacifico in barca a remi, da solo, per un totale di 33.000 chilometri e innumerevoli giorni di tempesta. Ha partecipato a gare di corsa straordinarie come la Los Angeles-New York. Ha percorso in sci e slitta la cappa di ghiaccio più grande d’Europa, il Vatnajökull in Islanda.
«Ma ho fatto più strada dentro me stesso che fuori» dice lui, occhi azzurri e barba hipster, diventato “mental coach” studiando Psicologia della performance. Dai momenti più critici delle sue avventure non è uscito mostrando i muscoli, ma affinando la «capacitá di sopravvivere sull’orlo del caos per mesi» e la convinzione che tutti hanno le risorse per fare cose apparentemente impossibili, in mare aperto o nella quotidianità. E con lo stesso spirito Alex Bellini ha pubblicato Il mio viaggio più bello, edito da Chiarelettere, dove tra riflessioni e racconti, pillole di mindfulness e saggezza orientale, ci invita a trasformare quest’anno di libertà limitata in un cammino «che può portare lontanissimo senza uscire di casa».
Un allenamento spirituale? «In un certo senso. È un percorso per sciogliere alcuni nodi interiori. Perché questo è uno di quei momenti dirompenti e incontrollabili della vita che ti sbalzano fuori dalle abitudini e richiedono un cambiamento. Come una sberla che ti butta a terra: devi rialzarti, toglierti la polvere di dosso e ripartire. Siamo in una specie di passaggio collettivo dal quale usciremo inevitabilmente trasformati. Ci vogliono fiducia, intelligenza, ascolto. Se sei mentalmente affaticato devi diventare più gentile, anche con te stesso. Non devi essere performante a ogni costo. Dobbiamo equipaggiarci: essere tutti più magnetici e meno elettrici, più femminili che maschili».
Vale a dire? «In questi mesi siamo reattivi e rabbiosi, con la spina sempre accesa, e io definisco “elettrica” questa forza maschile che ora dovrebbe lasciare il passo a quella femminile, “magnetica” perché accoglie e comprende. La vita veloce e frettolosa di prima non ha più senso, possiamo cavarcela solo con l’attesa. La stessa che ci vuole durante una tempesta, quando devi stare chiuso in cabina aspettando che passi».
Ha lasciato a metà il suo progetto in corso: “10 Rivers 1 Ocean”, la navigazione dei 10 fiumi più inquinati dalla plastica e della “garbage patch” nel Pacifico, il più grande accumulo di rifiuti nell’oceano. Da esploratore non ne ha sofferto? «No, proprio perché mi sono sempre preparato psicologicamente ai momenti più tosti. Remando da solo in mezzo all’oceano, ho imparato a gestire uno stress più psicologico che fisico».
E ha scoperto che anche stare fermi ha una dimensione esplorativa. «Sono più un uomo del “fare”, intendiamoci. La mia passione è viaggiare, anche sporcandomi. E la fatica mi attiva, perché so che mi rafforza. Ma come diceva il mio maestro di ballo liscio – ho imparato anche quello, anni fa! – le pause fanno parte della danza. E più inseguo orizzonti nuovi, più mi rendo conto che l’avventura è come la meditazione: terapeutica. Se sei sereno dentro puoi affrontare anche un naufragio, se sei inquieto non apprezzi neppure il più bell’arcobaleno in un giorno di vacanza».
Scrivere Il mio viaggio più bello è stato terapeutico? «Mi ha aiutato a sciogliere proprio i nodi di cui scrivo da coach, sapendo di non essere arrivato neppure io in fondo al percorso. Nel 2008 ho creduto di morire nel Pacifico in tempesta, dopo 2 o 3 giorni ho capito che potevo sopravvivere anche con paure e incertezze tremende, accettando la mia vulnerabilità. Vivo così anche questo periodo, pensando che prima o poi arriverà un altro giro di giostra».
Ha dedicato il libro a sua moglie Francesca e alle figlie Sofia e Margherita, di 11 e 9 anni. La famiglia è una risorsa? «Da sempre. Soprattutto quando hai l’umore sottoterra ti dà forza sapere che qualcuno ti aspetta e ti amerà qualunque cosa succeda. E ti fa evitare le imprudenze».
Accettano serenamente le sue avventure? «Sono fortunato e so che pagano il prezzo della mia scelta. Dal 2002 mia moglie è a capo del team che mi supporta dall’Italia e io alterno i viaggi a lunghi periodi a casa, soprattutto con le bambine. Ne soffrono un po’ ma la tecnologia aiuta a sentirsi spesso e sono diventate elastiche nel passare durante l’anno dal nucleo di 4 a quello di 3 persone».
Cosa l’ha spinta a diventare esploratore, 20 anni fa? «Vari fattori. La natura nella provincia di Sondrio, dove sono cresciuto. Mio padre, appassionato di viaggi in moto. Ogni anno andava per un paio di mesi in Africa e tornava scassato ma felice. Mi nutrivo dei suoi racconti».
Sul sito it.alexbellini.com scrive che il suo sogno è sopravvivere su un iceberg che si sta sciogliendo. Come riuscirebbe a farlo? «Dentro una capsula d’acciaio larga 3 metri. Dovrei starci il tempo necessario per documentare lo scioglimento, ma è risultato troppo complesso e pericoloso. Però dentro di me non ci ho ancora rinunciato».
«possiamo cavarcela solo con l’attesa. La stessa che ci vuole durante una tempesta, quando devi stare chiuso in cabina aspettando che passi»
In libreria
Si intitola Il viaggio più bello il libro appena pubblicato da Alex Bellini per Chiarelettere. Una guida che aiuta a vincere la paura della trasformazione e dei cambiamenti che la pandemia ci sta costringendo a fare nella nostra vita. Negli ultimi 15 anni l’esploratore ha attraversato 2 oceani in solitaria su una barca a remi (33.000 km), ha percorso rotte polari a piedi per oltre 2.000 km, montagne e deserti per 10.000 km. L’emergenza coronavirus l’ha costretto, per ora, a fermarsi.