I segnali ci sono. Più di uno, perché anche in questo caso il Covid ha funzionato da acceleratore. Ed ecco allora il boom di seconde case affittate in montagna l’estate scorsa e la riscoperta di un’Italia di prossimità, anche solo per un giorno o un weekend, dove l’aria è più pulita e il contatto con la natura assicurato. È come se si fosse riallacciato un rapporto nuovo con la montagna, ma un conto è andarci da turisti, un altro è decidere di fermarsi a vivere in quelle che chiamano “le terre alte”.
Sa ancora di avventura o comunque di scelta coraggiosa, come quella di Maria Lovisatti, 40 anni, che ha deciso di trascorrere il primo lockdown con il compagno Gabriele e la figlia ad Alagna, in Valsesia. E da allora non è più riuscita a scendere. «Sono innamorata di questo posto e, da marzo in poi, più passava il tempo che trascorrevo qui, più mi sembrava strano dover tornare a Milano. I primi ad accorgersene sono stati i miei genitori. Dalle mie parole, evidentemente, traspariva quello che stavo pensando e cioè che forse era proprio questa la vita che desideravo: alzarmi la mattina e vedere il cielo, camminare nel bosco dietro casa, accompagnare mia figlia a scuola a Riva Valdobbia, che è proprio di fronte alla chiesa con il bellissimo affresco di San Michele. La scelta di restare è diventata possibile perché mio marito ora è in smart working. Non è stato facile decidere e dovevo essere sicura, perché Maddalena quest’anno avrebbe iniziato la prima elementare. Ma alla fine mi sono dimessa dall’ospedale, dove facevo il medico radiologo. Una cara amica, che conosce bene il posto, mi aveva detto “Pensa a novembre, quando pioverà sempre”. Vuole saperlo? Novembre è stato un mese bellissimo».
Riscoprire le nostre montagne
In Italia basta fare solo un passo più in là per riscoprire la bellezza di prati e sentieri. Perché non ci sono solo le Alpi e l’Appennino. Fatta eccezione per Milano, Bari, Napoli e Venezia, tutte le città metropolitane sono costituite, in media, da un 50% di Comuni definiti montani o parzialmente montani (il record lo detiene Genova). È il bello del nostro Paese, che oggi diventa attraente per chi in quelle valli vorrebbe andare ad abitare e a lavorare. Spesso con la famiglia.
Silvia Rovere, 47 anni, ha scelto Ostana, nelle Valli occitane e con vista sul Monviso, quando era incinta di Alice e c’era già Clara. Poi è nato Pablo e Silvia è finita sui giornali perché nel paese non nascevano bambini da 28 anni. Da qui non se ne andrebbe per nulla al mondo e da un anno è anche la sindaca di Ostana. Chi meglio di lei a distanza di 9 anni può fare un bilancio? «Ho partecipato a un bando pubblico per la gestione di un rifugio e nel giro di 15 giorni la domanda è stata accolta. Se ho fatto fatica i primi tempi? Sì, ma non mi viene in mente questo quando ripenso a quel periodo. Cercavo un’alternativa alla vita di città senza dover fare l’eremita e desideravo vivere in un posto in cui sentirmi parte di una comunità. Quando mi sveglio al mattino con un’idea, ho sempre la sensazione di poter realizzare qualcosa, anche in un momento come questo in cui si è in balia dell’incertezza». Silvia si riferisce al primo lockdown. In quel periodo Ostana ha presentato la domanda per il progetto europeo Smart Rural. E l’ha vinto: «In pratica l’Europa, per stabilire delle linee guida, chiede a noi e ad altri 20 borghi di montagna cosa ci serve per vivere, dalla mobilità sostenibile ad altri servizi. Sicuramente la digitalizzazione, perché io metto il cellulare sul balcone per prendere l’hotspot! Su questo siamo ancora indietro, ma più per motivi burocratici».
Quando Silvia dice “noi” si riferisce a 90 residenti di cui 50 fissi (9 anni fa gli abitanti erano 24). «Una scelta come la nostra si può fare: mio marito Josè Antonio fa il fisioterapista, lavoro che può svolgere anche qui; i figli vanno con lo scuolabus a Paesana, distante 10 km. Ma conta il luogo che si sceglie e in questo siamo stati fortunati. Qui c’è un importante patrimonio architettonico e culturale, un centro di ricerca sull’ecologia fluviale e anche l’esposizione a sud-est fa la differenza. Significa avere 3-4 ore di sole in più in inverno».
Quali opportunità ci sono oggi per trasferirsi in montagna?
Per Silvia la gestione di un rifugio è stato l’inizio di tutto. Quali altre opportunità ci sono oggi per trasferirsi in montagna? Le iniziative pubbliche per favorire il popolamento dei Comuni montani non sono molte. Una delle ultime è quella della Regione Emilia Romagna e si è rivelata un successo, con un’adesione al di sopra delle aspettative. Il Bando Montagna 2020, uscito a settembre, ha accolto ben 2.310 domande per ottenere un aiuto a fondo perduto (fino a 30.000 euro) che permetterà di acquistare o ristrutturare un’abitazione in 119 comuni dell’Appennino.
Avere un finanziamento per la casa può essere il primo passo che consente di mettere radici in montagna. Le risorse disponibili, però, (10 milioni di euro in tutto) bastano per 341 nuclei familiari (anche composti da una sola persona). Ci vogliono più soldi e la Giunta raddoppierà lo stanziamento. A Torino, invece, funziona lo Sportello della Montagna, che offre consulenza gratuita a chi pensa di spostarsi nelle vallate che vanno dal Pinerolese all’Alto Canavese. Istituito da Città metropolitana con la collaborazione del Dipartimento di culture, politica e società dell’Università degli studi di Torino, nell’arco di 2 anni ha esaminato circa 120 progetti.
I nuovi montanari sono persone occupate, uomini e donne, spesso in coppia, hanno dai 30 ai 39 anni, poi ci sono gli over 50 e i giovani, fra i 19 e i 29 anni (Report InnovaAree). «Non si tratta di persone insoddisfatte della loro occupazione, fatto salvo in qualche caso l’aspetto economico» precisa Filippo Barbera, sociologo dell’Economia del territorio all’università di Torino. «Hanno un diploma, la laurea, a volte un master. Sono però convinti che la montagna rappresenti un’opportunità per sentirsi più soddisfatti e più liberi». Allo Sportello le persone arrivano con le idee chiare e cercano un confronto per trovare le risposte ai loro dubbi e indirizzare al meglio quello che hanno in mente, dalla fattoria didattica all’albergo diffuso, dall’apicoltura al sito di ecommerce per vendere prodotti a km zero.
Per forza di cose le imprese sono piccole, ma si muovono nella direzione giusta perché puntano sulle eccellenze del territorio, sul turismo slow, su un rapporto diverso con la natura. Sono tutte attività che hanno il loro punto di forza nella sostenibilità, considerata fondamentale per il futuro. Anche la montagna può, aiutata da incentivi e investimenti, produrre ricchezza. Una ricchezza diversa in cui le politiche pubbliche dovrebbero credere di più, perché emergono nuovi bisogni: «Le città sono in crisi e in termini personali costa meno decidere di abbandonarle: inquinamento a parte, è più difficile trovare lavoro e gli affitti sono sempre alti» sottolinea Filippo Barbera. «Nei progetti di chi pensa di spostarsi in montagna emerge poi la ricerca di un nuovo equilibrio fra la vita e il lavoro, con un’attività che magari rende meno ma fa vivere più sereni. Lo percepisco quando incontro queste persone durante le mie ricerche: “Professore, io la sera vedo la via Lattea, sono meno stressato e dormo meglio”».
Sfuggire al riscaldamento globale
Oltre ai ritmi più concilianti, ci può essere in futuro anche un’altra ragione per scegliere di abbandonare la pianura, e ha a che fare con il clima. In alto, d’estate, si sta al fresco. «È questo l’elemento vincente» sostiene il meteorologo Luca Mercalli, che ha scritto Salire in Montagna (Einaudi), dedicato ai “montanari per scelta” e con un sottotitolo che è una sintesi del suo pensiero: Prendere quota per sfuggire al riscaldamento globale. «Nel 2003, per la prima volta dopo 250 anni, si sono registrati i 40 gradi in pianura fino ad arrivare ai 43 di Forlì nel 2017» spiega. «La tendenza è evidente, per questo la decisione di riabitare la montagna può salvarci, tenendo conto che possiamo farlo con più agi rispetto a una volta, per esempio recuperando le vecchie case con i metodi della sostenibilità ambientale, che portano lavoro agli artigiani del posto. Per favorire questo processo bisogna però eliminare gli intoppi burocratici, che sono tantissimi».
E Mercalli li racconta nel libro in prima persona visto che ha deciso di ristrutturare una baita a 1.650 m nella borgata di Vazon, in Val di Susa, anche se abitava già in zona, ma a 500 metri, un’altezza che d’estate non è più una barriera contro il caldo. Salire più su, però, vuol dire isolarsi e l’inverno è lungo. «Occorre vedere la montagna in una maniera diversa e non più come una scelta assoluta. Con lo smart working, molti possono vivere in quota e scendere in città quando è necessario. Oggi poi la comunità si trova anche in Rete, dove posso dialogare a distanza con chi ha i miei interessi e poi incontrarlo, invitarlo a venire qui». Che bello pensare che città e montagna possano convivere, un futuro in cui una non sia in conflitto con l’altra e a vincere sia lo scambio di idee e soluzioni nuove.
Riabitare l’Italia, oltre che un libro edito da Donzelli, è anche un’associazione che ha aperto un dibattito sulle aree interne del paese (riabitarelitalia.net/RIABITARE_LITALIA)