Capire prima di tutti l’aria che tira è il superpotere di Anna Wintour. Ma quanto a lungo si può rimanere all’avanguardia senza perdere il contatto con la realtà? La torre d’avorio da cui la direttrice di Vogue Usa ha governato per 30 anni le sorti della moda e della cultura popolare oggi vacilla. La lettera inviata agli impiegati della sua casa editrice (di cui è anche direttrice artistica), scritta nei giorni più feroci delle proteste dopo l’uccisione di George Floyd, suona come un estremo tentativo di mostrarsi al passo con i tempi. «Non deve essere facile essere neri a Vogue» ha ammesso, contrita per non «aver trovato il modo di promuovere giornalisti, scrittori, fotografi, stilisti e altri creativi della comunità afroamericana».
Per il momento è stata prontamente re-investita dalla piena fiducia aziendale: «Poche persone al mondo sono in grado quanto lei di influenzare la cultura e il cambiamento» hanno detto i vertici di Condé Nast, casa editrice che ha storicamente costruito la propria linea sulla personalità di direttori superstar, mondani e potentissimi, brillanti e capricciosi, capaci di coinvolgere in un’unica imperdibile conversazione gli Obama e le Kardashian. Di questa squadra di fenomeni dal carattere difficile, ai quali ogni intemperanza veniva perdonata in nome del successo, Anna Wintour è stata per decenni la capitana. Ma oggi nessuno è più al sicuro.
Già a 21 anni voleva diventare direttore di Vogue
La sua approvazione non ha prezzo, il suo stile è spregiudicato ed esplosivo. Nata a Londra nel 1949, erede talentuosa di un editore dal pedigree impeccabile, a scuola si faceva notare soprattutto per l’ostinazione con cui accorciava sopra al ginocchio le gonne della divisa. A 21 anni ha cominciato a lavorare come giornalista di moda, con un obiettivo dichiarato: la direzione di Vogue. C’è riuscita per la prima volta in Inghilterra nel 1985: grazie a uno stile spregiudicato ed esplosivo, in pochi mesi si è guadagnata il soprannome di “Nuclear Wintour”
La seconda volta, negli Stati Uniti dal 1988, è finita direttamente nell’immaginario collettivo con “Il Diavolo veste Prada”. Prima il libro, poi il film e l’interpretazione che Meryl Streep ha dato di Miranda Priestly: ricordate? Arrogante e immacolata, si sente una benefattrice nel concedere una possibilità alla «ragazza grassa» Anne Hathaway. Come nel film, Anna Wintour ha un ex-marito: David Schaffer, psichiatra alla Columbia University, sposato dal 1988 al 1999. Ma invece di 2 gemelle appassionate di Harry Potter, quella vera ha 2 figli: Charles, 35 anni, e Katherine detta Bee, 32, che nel 2018 ha sposato Francesco Carrozzini, il figlio della compianta Franca Sozzani, unendo 2 formidabili dinastie in un unico destino. Come nel film, Anna Wintour difende la propria vita privata con ferocia: del suo ménage col nuovo marito, l’imprenditore americano Shelby Bryan, non si sa niente. E come nel film, anche nel mondo reale l’alta società fa la fila per renderle omaggio, sulle scale del Metropolitan Museum di New York, all’inaugurazione dell’annuale mostra a tema moda. Un biglietto costa 30.000 dollari, l’approvazione di Anna Wintour non ha prezzo.
“Incapace di umana gentilezza”
È stata la prima nella storia a scegliere una modella nera per la cover di settembre, la più importante. Per una direttrice che non deve chiedere mai, prendersi il disturbo di chiedere scusa ai suoi impiegati pare inaudito. Intendiamoci: non è di volgare razzismo che stiamo parlando. Anna Wintour è prodiga sostenitrice del Partito democratico e da sempre promotrice di un ideale multietnico di fotogenia. È stata la prima nella storia a scegliere una modella nera per la cover del prestigioso “numero di settembre ” di Vogue (era il 1989, era Naomi Campbell) e negli anni ha celebrato Michelle Obama, Beyoncé, Rihanna, Serena Williams, Lupita Nyong’o.
Eppure, quando il sito The Pudding ha analizzato la distribuzione del colore della pelle esposta su 228 copertine, ha scoperto che la prevalenza dei toni chiari rimane schiacciante. Gli americani lo chiamano “tokenism”: mettersi al riparo dalle critiche ostentando un esemplare simbolico per rappresentare un’intera minoranza. Come Naomi Campbell, appunto. Oppure André Leon Talley: per 30 anni devoto luogotenente pubblico e privato di Anna Wintour, era anche l’unico nero in redazione al quale venisse concessa visibilità. È stato liquidato nel 2018 perché «improvvisamente troppo vecchio, troppo grasso o troppo poco cool» dice lui, che a maggio ha pubblicato “The Chiffon Trenches”, un’autobiografia in cui definisce Anna Wintour «incapace di umana gentilezza». In un’intervista radiofonica ha poi rincarato: «Dame Anna Wintor (è stata insignita del titolo dalla regina Elisabetta nel 2017, ndr) è espressione di una mentalità colonialista» agisce esclusivamente a proprio vantaggio. È difficile capire dove finisca l’esperienza e inizi la ripicca, ma forse neanche importa: nel mondo che Anna Wintour ha contribuito a creare, conta solo quello che sembra. E niente è peggio dell’andare fuori moda.