La coppetta ha rivoluzionato il modo in cui pensiamo alle mestruazioni e ha aiutato molte donne a riconsiderare il rapporto con il proprio corpo in una delle fasi più naturali e complicate che naturalmente attraversa. È vero, però, che non funziona per tutte: per svariati motivi, che vanno dalla conformazione fisica alla tipologia di ciclo. Ma quali sono le (altre) alternative ecologiche e quanto sono sicure?
I prodotti ecosostenibili esistono, ma spesso sono costosi
Chi non si trovasse bene con la coppetta o con il disco mestruale, ha diverse opzioni da valutare. Intanto ci sono gli assorbenti in cotone organico, che sono più delicati sulla pelle e riducono il rischio di irritazione, ma che non risolvono il problema dello smaltimento di questo tipo di rifiuti (ne parliamo più avanti).
Quindi ci sono gli assorbenti lavabili che possono essere riutilizzati più volte e l’intimo assorbente, anch’esso lavabile, proposto da marchi come Thinx, Modibodi e Lunapads. Questi prodotti, però, spesso sono costosi e non sempre facilmente reperibili.
Nel 2019 l’azienda italiana IntimaLuna ha lanciato una linea di assorbenti che, secondo quanto dichiarato, non contengono parti in plastica. Si chiamano EcoLuna e sono biodegradabili come quelli in cotone che siamo abituate a trovare in farmacia, ma sono anche compostabili, ovvero si degradano del tutto in circa sei mesi.
Secondo quanto riporta Fast Company, inoltre, una ricerca dell’Università di Notre Dame (in Indiana negli Stati Uniti), ha trovato livelli significativi di PFAS, un gruppo di sostanze chimiche potenzialmente dannose, nell’intimo di Thinx. L’azienda ha contestato con forza questo dato, affermando a Fast Company che i suoi prodotti «sono stati sottoposti a numerosi cicli di test per assicurarsi che soddisfacessero o superassero gli standard di sicurezza».
Ma al di là del singolo marchio, l’attenzione è sulla certificazione delle varie componenti, come lo stesso “cotone organico” molto sponsorizzato negli ultimi anni. Lo sottolineava Quartz nel 2017: «il cotone biologico, per definizione, proviene da piante che non sono state geneticamente modificate. A causa di questa differenza, per ottenere la stessa quantità di fibra da una coltura biologica e una convenzionale, dovrai piantare più piante biologiche, il che significa utilizzare più terra. Quella terra, ovviamente, deve essere curata e irrigata». Una questione, insomma, ancora irrisolta.
Il problema con la tampon tax…
Anche in Italia, la coppetta ha dato il via a una discussione pubblica sulla tampon tax. L’Italia è rimasta infatti tra gli ultimi Paesi europei ad avere una tassazione sui prodotti igienici femminili pari a quella di sigarette, vino e diamanti, il 22%. In Francia, Regno Unito e dal 2020 anche in Germania, l’Iva su questo genere di prodotti, e non solo su quelli ecologici, va invece dal 5 al 7%.
Lo scorso dicembre si è arrivato all’abbattimento dell’Iva solo su quelli biodegradabili e compostabili: «una falsa vittoria», come l’ha definita la direttrice Annalisa Monfreda, visto che «C’è un pezzo di mondo dove le donne non possono lavorare, fare sport, andare a scuola per 5 giorni al mese perché non hanno gli assorbenti. Ma anche nella modernissima Europa si è arrivato a parlare di povertà mestruale (…) Ora, in un contesto in cui gli assorbenti rappresentano il lusso di poter fare ciò che fanno gli uomini, in Italia si è pensato di detassare solo quelli “di lusso”: i biodegradabili e compostabili, piccolissima nicchia di mercato. Che tra l’altro non risolvono il tema dell’impatto ecologico dal momento che non ne è ancora ammesso il compostaggio negli impianti italiani», conclude Monfreda.
… E quello con il compostaggio
E a proposito di compostaggio, un approfondimento de Il Post segnalava lo scorso maggio come non sia facile stabilire il reale impatto ecologico degli assorbenti per via della mancanza di studi affidabili e completi in materia. «Se si considera una singola donna, ipotizzando 40 anni di ciclo mestruale, dai 12 ai 52 anni di età, si può dire che in una vita consumerà tra i 3mila e i 10mila tra assorbenti e tamponi», un numero considerevole, certo, e che è molto variabile, ma considerando che, «In un anno, in media, i cittadini italiani producono 500 chili di rifiuti a testa: è evidente che l’impatto degli assorbenti e dei tamponi di una singola ragazza o donna, che sono circa 250 in un anno tenendosi larghi, non sono una fonte di inquinamento da rifiuti significativa».
C’è però una novità, tutta italiana, che potrebbe consentire grossi passi in avanti per ridurre l’impatto degli assorbenti: a maggio 2019 il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha infatti firmato il Decreto end of waste, «che stabilisce a livello nazionale che i cosiddetti “prodotti assorbenti per la persona” (PAP), cioè i pannolini, i pannoloni, gli assorbenti e i tamponi, possano essere riciclati e diventare materie prime seconde. Dunque possono essere usati per produrre nuovi prodotti da mettere in commercio». Anche qui, ancora tanto lavoro da fare.