Il suo nome fa pensare a un bambino, ma ormai è uno splendido quarantenne: è il Bimby, la perfetta sintesi tra R2D2, il famoso robot tuttofare di Star Wars, e Antonio Cannavacciuolo. Il più citato nelle liste di nozze, il regalo che si tramanda dalle madri ai figli, di generazione in generazione, da quando il corredo è passato di moda. È lo chef robotico capace di fare tutto, dalla maionese alla pizza, dal risotto al gelato, passando per cotture al vapore e in umido, dagli impasti agli omogeneizzati. È il 1978 quando in Francia viene perfezionato un apparecchio in grado di unire le funzioni di cottura e miscelazione, semplificando soprattutto la preparazione di zuppe. L’idea piace alla Vorwerk (azienda produttrice anche del Folletto), che inizia a svilupparla su scala industriale.

È la svolta: all’inno Liberté, consommé, puré! quel piccolo robot rivoluziona le cucine di mezzo mondo, dando una possibilità anche a chi, di fronte ai fornelli, preferirebbe darsi fuoco piuttosto che preparare qualcosa. Basta programmare la ricetta, procurarsi gli ingredienti e lui va, ligio alle direttive, come un’intera brigata da ristorante. Conosco famiglie in cui il Bimby è venerato come una divinità, lo tengono sopra un altarino come Kalì per gli indiani. Ma non è solo apprezzato dalle Bridget Jones che legano gli aromi con lo spago colorato creando una disgustosa minestra blu, il Bimby è un aiuto fondamentale anche per grandi chef, per fare il lavoro sporco, quello di tritare, mixare, sminuzzare. Un buon braccio destro insomma, per limitare la fatica.

Molta gloria però significa anche tanti nemici, basta sbirciare i siti dei food blogger per trovare le critiche feroci del team #BimbyFree. In primo luogo pare che tolga molto del romanticismo legato all’arte culinaria, rendendo le preparazioni asettiche. Niente più ragù della nonna a sobbollire per ore, niente più scarpetta rubata con un tozzo di pane inzuppato a tradimento, niente più soffritti sul fuoco mentre tra amanti si sorseggia un bicchiere di vino in attesa di una portata afrodisiaca. E a me viene da dire però che trovo altrettanto romantico lasciare che lui cuocia la cena mentre noi possiamo intrattenerci in attività più gustose, tipo fare l’amore o anche solo chiacchierare.

La seconda obiezione lamenta che le portate abbiano gusti e consistenze simili, che il colore della polenta assomigli un po’ troppo a quello del puré e che il risotto sia sbiadito. E a me viene da dire: meglio un risotto sbiadito che un uovo al tegamino bruciato, cosa che accade puntualmente a chi non è in grado di mettere insieme un pasto caldo.  

Il terzo attacco riguarda il prezzo, il Bimby costa tanto, quasi mille euro. E a me viene da dire che 1000 euro sono poi circa 62 pizze gourmet di Cracco, a conti fatti una cifra sostenibile e soprattutto ammortizzabile con qualche mese di menu a fatica zero. In più, un Bimby è per sempre, altro che diamanti. Dai diamanti non nasce niente, dal Bimby nascono i fior, di zucca, in pastella… per dirne una.


L’ultimo libro di Enrica Tesio è “Dodici ricordi e un segreto” (Bompiani)