Hai presente quando di qualcuno particolarmente intelligente e dotato si dice che: «Ha una testa come un computer»? Oppure la convinzione per cui i videogames fanno rimbambire? O ancora il detto: “Chi dorme non piglia pesci”? Beh, sono tutte affermazioni sbagliatissime. A dirlo è Stanislas Dehaene, 54 anni, matematico e neuroscienziato a capo, in Francia, del Consiglio scientifico per l’educazione nazionale (Csen), e autore del libro appena uscito Imparare: il talento del cervello, la sfida delle macchine (Raffaello Cortina). «È proprio la capacità di imparare l’abilità straordinaria della nostra specie» afferma. «Lo facciamo in situazioni impensabili e meglio di chiunque altro».
In un momento in cui tutti parlano di intelligenza artificiale, lei punta sull’intelligenza naturale.
«Perché è di gran lunga superiore. Oggi le macchine sanno comprendere un discorso, riconoscere un viso e anche guidare un’auto in sicurezza. Ma per fare il salto di qualità e costruire macchine “human-like”, l’intelligenza artificiale deve imparare come il cervello umano lavora, anzi come il cervello dei bambini lavora».
Vuol dire che i bambini sono dei super computer?
«Il loro cervello è senza dubbio il più veloce e il più efficiente tra tutti i dispositivi di elaborazione. Mentre l’intelligenza artificiale ha bisogno di incamerare e confrontare un’infinità di dati per elaborare le risposte giuste, i bambini sono in grado di vedere una cosa o ascoltare una parola una volta e ricordarla.
Come fanno?
«La loro capacità di comprensione e interpretazione del mondo non si basa sul riconoscere la risposta giusta attraverso il paragone con le altre centinaia di migliaia a disposizione, come fa Google Images per intenderci, ma piuttosto sul calcolo delle probabilità. In pratica, i bambini usano le poche informazioni a loro disposizione, per esempio la forma di un oggetto o il contesto in cui si trova, per pensare in maniera creativa elaborando una gamma di possibilità su ciò che quell’oggetto può essere, scegliendo poi la più probabile».
Per fare il salto di qualità e costruire macchine “human-like”, l’intelligenza artificiale deve imparare come lavora il cervello umano. Anzi, come lavora quello dei bambini che è il più performante
E in che cosa i bambini sono meglio degli adulti?
«Il loro cervello è più flessibile o, per usare il termine tecnico, plastico. In un bambino vengono prodotte sei milioni di connessioni neurali al secondo: in un adulto meno della metà. Man mano che il cervello matura e acquisisce conoscenze, infatti, diventa sì più specializzato ma meno agile: si rafforzano determinate connessioni neurali e se ne perdono altre, indebolendo l’abilità di pensare fuori dagli schemi o di elaborare teorie con pochi dati. Che è il punto di forza dei piccoli».
Nel libro dice anche che i bambini appena nati hanno conoscenze di fisica, aritmetica e geometria.
«Proprio così. Esperimenti in laboratorio hanno dimostrato che fin dai primi mesi di vita il bambino capisce che 1+1= 2. Se vede sparire due oggetti dietro un pannello, resta stupito se, una volta sollevato il pannello, ne trova solo uno o tre. Lo stesso accade quando, di fronte a un’urna che contiene una maggioranza di palline rosse, ne vede uscire una verde. È la prova che concetti come quello di numero o probabilità sono innati. L’idea che il cervello del bambino sia una tabula rasa è un neuromito».
Cos’è un neuromito?
«Sono idee considerate spesso vere dalle persone ma che in realtà sono scientificamente false. Uno dei più diffusi è che i videogames rimbambiscono. Numerosi studi hanno mostrato che i videogiochi d’azione mobilitano i sistemi di allerta e ricompensa, ovvero il rilascio di dopamina. Questo si traduce in un apprendimento più rapido: allenano la visione periferica, la capacità di prendere decisioni veloci e anche l’attenzione».
I videogame quindi ci rendono più reattivi e veloci. Ma questo come si collega alla capacità di imparare?
«L’attenzione esecutiva, ovvero la capacità di concentrarsi e controllarsi, influisce anche sul quoziente intellettivo. La cosiddetta intelligenza fluida infatti, ovvero la capacità di ragionare e risolvere i problemi, utilizza le stesse aree cerebrali del controllo esecutivo, in particolare la corteccia dorsolaterale. Anche per questo allenare l’attenzione esecutiva è importantissimo».
E come si fa?
«Tra le attività più utili, oltre ai videogiochi, ci sono la meditazione e soprattutto la pratica di uno strumento musicale. Esami dell’attività cerebrale, effettuati con tecniche di neuroimaging, dimostrano che, a partità di condizioni, i musicisti hanno una corteccia dorsolaterale significativamente più spessa rispetto ai non musicisti».
Un altro segreto per migliorare l’apprendimento?
«Il potere del sonno. E non perché, come si crede, il cervello mentre dorme si riposa. In realtà aziona il tasto “re-play” e “ripassa”, a velocità accelerata, le attività che ha vissuto da sveglio, amplificando dalle dieci alle cento volte quello che ha imparato durante la giornata. Rivedere un problema o rileggere una lezione prima di addormentarsi è una strategia utilissima!».
È vero che anche l’immagine che abbiamo di noi stessi è importante?
«Sì. La metacognizione, ovvero l’opinione che ci costruiamo di noi stessi, ci aiuta a progredire o ci condanna all’insuccesso. Molte ragazze, per esempio, pensano di essere negate per la matematica. In realtà tutti abbiamo le stesse capacità di imparare, l’unica cosa che cambia è la velocità. Pensare di non essere in grado di imparare, però, uccide la curiosità ed è gravissimo. Quando scopriamo qualcosa di nuovo, infatti, viene rilasciata dopamina, l’ormone del piacere e della ricompensa. Ricordatevelo: siamo nati per imparare, è impresso nel nostro cervello».