Da qualche tempo non si parla d’altro. Dal panettiere c’è chi cerca il pane fatto con lievito madre, la pasta “acida” adoperata per fermentare pagnotte e focacce al posto del lievito di birra. E al supermercato è boom di kombucha (una bevanda frizzante) e kefir, un latte fermentato che sta registrando un aumento di vendite straordinario: +327% nell’ultimo anno (fonte Assolatte). La parola fermentazione, per la prima volta usata da Luigi Pasteur alla fine dell’Ottocento, sembra tornata decisamente di moda. Cerchiamo di capire meglio di che cosa si tratta e per farlo dobbiamo andare nella West Coast, da dove tutto è partito.
Il pane dal gusto acidulo piace
All’origine della riscoperta della fermentazione c’è un alimento molto comune: il pane. A San Francisco i coniugi Elisabeth Prueitt e Chad Robertson hanno visto la gente mettersi in fila davanti alla loro Tartine Bakery dopo aver lanciato il Morning bun (croissant con lievito madre) e il toast con pane “fatto come una volta”, a lenta lievitazione e dal gusto acidulo. C’era dunque un pubblico pronto a premiare un gusto più naturale e le “panetterie lievito madre” si sono a poco a poco diffuse dappertutto, anche da noi: a Milano si va da Davide Longoni, Crosta e Le Polveri; a Bologna c’è il Forno Brisa, a Napoli il SoulCrumbs. Se per il pane serve una pasta madre, un impasto composto da microorganismi vivi (i suoi fan la preparano in casa), nelle cucine degli chef la storia è più complicata.
Fermentazione, c’è chi la studia da anni
«Questa tecnica trasforma gli alimenti utilizzando lieviti e muffe, moltiplicando così la gamma dei sapori» spiega René Redzepi, lo chef visionario del Noma di Copenhagen, il ristorante che è stato incoronato per quattro volte il migliore al mondo. Redzepi si esercita con la fermentazione da dieci anni. «Mi sento come il buttafuori dei club notturni: caccio i microbi indesiderati e lascio entrare quelli che fanno esplodere una festa per il palato». Detto così, visto che si usano funghi e batteri, non sembra molto invitante. Ma si cambierebbe idea se si riuscisse a prenotare un tavolo al Noma (le liste d’attesa superano l’anno), dove ogni piatto in carta contiene un cibo fermentato.
Qualche suggestione? Porcini fermentati e canditi, gamberetti saltati con aceto di zucca Butternut fermentata, kombucha al caffè. E perché questa festa non sia riservata a pochi eletti, lo chef ha appena pubblicato Noma. La guida alla Fermentazione (Giunti), una Bibbia per chiunque voglia accostarsi a questo food trend. In 464 pagine, insegna a fermentare dai mirtilli alla zucca, dai piselli alle nocciole. Da noi, l’interprete più versatile è Moreno Cedroni della Madonnina al Pescatore (Senigallia): «Ho passato l’ultimo anno nel Tunnel, il mio laboratorio di ricerca, a fare esperimenti con ogni genere di vegetali» racconta. «Persino i cetrioli, protagonisti del Cedronic, il mio sorbetto al gin tonic. La fermentazione può rendere dolce, acida, salata e piccante al punto giusto anche la più insipida delle verdure».
Pane, miso, parmigiano & Co
A ben guardare, i cibi fermentati li mangiamo da sempre. Crauti, pizza, yogurt, miele e persino vino, aceto, birra appartengono a questa categoria. E lo sono anche cibi tradizionali presenti nei paesi orientali e arrivati anche da noi come il miso, la zuppa che ti servono prima del sushi.
«La fermentazione è millenaria e universale, è in questo modo che l’uomo un tempo riusciva a prolungare la vita degli ingredienti, a trasformarli in qualcosa di nuovo e persino a renderli più digeribili» dice la nutrizionista Manuela Fortunato. Negli ultimi dieci anni, 15.000 pubblicazioni scientifiche sui probiotici e 50.000 sul microbiota (fonte Pubmed) ne hanno certificato i benefici sulla salute. «Questi cibi facilitano la digestione e rafforzano il nostro organismo perché nutrono il microbiota, l’insieme di batteri che popolano l’intestino e in cui risiede il 70% del nostro sistema immunitario». Pronti a sperimentare come cambia il gusto di cibi e bevande una volta fermentati? Che vi piacciano o no, una cosa è certa: fanno bene alla salute.
La fermentazione ha conquistato persino il beauty
Sane dentro e belle fuori. È arrivata anche da noi la cosmesi tradizionale asiatica, a base di oli, frutti e fiori fatti fermentare con tecnologie hi-tech. «La fermentazione» racconta Mary Santaniello, senior Innovation Manager di Florena Fermented SkinCare (Beiersdorf), primo brand tutto italiano di cosmetici fermentati, «è un booster naturale in grado di trasformare gli ingredienti, rendendoli più potenti. Per esempio, il nostro olio di oliva fermentato, da aggiungere anche alla crema viso contiene 50 volte più Omega 6 e 9 dell’olio di partenza e questo potenzia la funzione antiossidante contro i radicali liberi e le rughe». In altre parole, la fermentazione sminuzza i nutrienti e rompe i legami che li intrappolano nelle molecole, così possono essere assorbiti in maggior quantità e più in profondità dalla pelle.