Arriva in Italia una nuova tecnologia per le fratture al femore: si chiama “Adapt 2.0” e permette di rendere più sicure le operazioni sia per i giovani che per i meno giovani, anche nei casi più difficili. Consente di ridurre il numero di radiografie da effettuare, di intervenire con precisione maggiore e di evitare molte compicanze, tra cui lo spostamento della vite “cefalica” che spesso rende necessario un nuovo intervento.
A realizzare i primi interventi innovativi è stata la dottoressa Roberta La China, 34 anni, ortopedica all’ospedale Santo Spirito di Casale Monferrato, dove fa parte del team guidato dal dottor Danilo Francesco Chirillo, direttore dell’Unità di ortopedia e traumatologia.
Come funziona la tecnologia Adapt 2.0
La tecnologia Adapt 2.0 unisce la radiologia all’informatica. “Sono necessarie soltanto due radiografie, le cui immagini sono trasferite a un piccolo computer, grande come un tablet, accanto al lettino su cui è posizionato il paziente da operare. Il software le elabora e restituisce l’esatta immagine del femore prima di intervenire, ma non solo. Nel momento in cui l’ortopedico inizia l’operazione per applicare il chiodo al femore fratturato, può seguire sul monitor le fasi dell’intervento con una navigazione in 3D, consentendo così anche piccoli aggiustamenti. Questo permette quindi non solo di ridurre il numero di esposizione alle radiazioni, sia per i pazienti che per gli operatori, ma anche di intervenire in modo estremamente preciso, limitando di molto i rischi di complicanze post-operatorie” spiega la dottoressa La China.
Meno complicanze
Questa tecnologia riduce anche una delle complicanze più frequenti dell’intervento al femore, cioè il possibile spostamento della vite cosiddetta “cefalica”, che permette l’applicazione del chiodo lungo al femore: una complicanza che si verifica tra il 2 e il 7% dei casi rendendo necessario un nuovo intervento. E questo rappresenta uno dei motivi che scoraggiano maggiormente molti pazienti, anche giovani, dal sottoporsi a un intervento di ortopedia di questo tipo.
Dove si effettua la nuova operazione
Al momento quella di Casale Monferrato è l’unica struttura dotata della nuova tecnologia e una delle sole quattro in Europa: le altre in Belgio, in Francia e nel Regno Unito. “Mi piacerebbe che questo sistema fosse introdotto in tutti i centri italiani. A Como si utilizza una tecnica simile, ma con un chiodo corto per fratture d’altro tipo. Anche al CTO di Torino sarà introdotto qualcosa di simile ma per interventi leggermente differenti” spiega Roberta La China.
Una “donna che ce l’ha fatta”
La nuova tecnica è stata importata in Italia dalla dottoressa stessa: “Ho visto questo sistema per la prima volta a Strasburgo e ho proposto di introdurlo anche da noi. Il mio direttore mi ha dato grande fiducia, permettendo che la tecnologia fosse introdotta e dandomi la possibilità di seguire i corsi per utilizzarla”.
La dottoressa La China è candidata a ricevere il Premio “Donne che ce l’hanno fatta”, organizzato dagli Stati Generali delle donne Italia, in collaborazione con l’Università di Pavia, che sarà assegnato proprio presso l’ateneo lombardo il prossimo 30 novembre. Si tratta di un riconoscimento istituito da Sportello Donna e Fondazione Gaia dal 2014: viene consegnato a donne che diventano esempio per altre donne, dopo aver superato il cosiddetto “tetto di cristallo”, quella barriera che spesso impedisce alle professioniste di raggiungere posizioni importanti, occupate in gran parte da colleghi uomini.