È lui, il gilet di lana, la nuova divisa professionale da Zoom. Lo ha decretato il quotidiano inglese The Guardian. Sì, quel capo che fino all’anno scorso era al massimo un fondo di armadio adatto a chi ha lo stomaco delicato (e quindi da tenere al caldo) o un residuato da nerd anni ’90, stile Chandler Bing della serie tv Friends, è tornato in grande spolvero.
Riproposto nelle collezioni per l’autunno 2020 da brand come Dior, Gucci, Prada, Alessandra Rich, sfoggiato dalla top model Bella Hadid e, a pelle nuda, da Romeo (il secondogenito dei Beckham), il gilet sta conoscendo una nuova fortuna. «Capita periodicamente a quel genere più ampio di stili polarizzanti che sono alternativamente molto cool o irrimediabilmente da vecchi, che si amano o si odiano» spiega Vita Haas, curatrice della boutique su Instagram Café Forgot (@cafe−forgot). «Il gilet di lana è uno di quegli elementi che ciclicamente entrano ed escono dai trend, al pari di scaldamuscoli, pantaloni capri e marsupi».
Il gilet sa essere meno della giacca, ma più della t-shirt. Coniuga comodità e stile formale. Sta a metà tra abito da ufficio e streetwear. Insomma, il gilet è cool
Gilet, un passato sportivo
Quanto all’origine di questo capo controverso, non è nota. Pare che il gilet sia stato esibito per la prima volta nel 1907, come parte della tenuta da gara di una squadra di football americano del Michigan. Grazie a testimonial quali Edoardo VII d’Inghilterra, appassionato cacciatore, si diffuse soprattutto tra gli appassionati di sport, in particolare tra golfisti, vogatori e giocatori di cricket, per i quali il fattore estetico aveva ben poca rilevanza. Piuttosto, rimuovere le maniche al classico maglione consentiva di avere le braccia più libere, pur mantenendo il busto al caldo.
E qui, forse, sta la spiegazione del fenomeno. «Il guardaroba maschile è poco mutato dall’inizio del ’900 a oggi. Ed è questo ad attribuire al gilet di lana un senso di contemporaneità che sfugge ai capi femminili, più soggetti alle mode» suggerisce Giusi Ferrè, giornalista esperta di moda. Non è tutto: dagli anni ’30 il pullover smanicato è entrato a far parte dell’apparato preppy style, l’uniforme delle scuole più blasonate degli Stati Uniti, e da allora è diventato l’emblema dello studente zelante. Il che potrebbe spiegare il suo successo attuale.
Gilet, un presente da popstar
Il gilet trasmette l’immagine di una persona laboriosa, rispettosa, estranea alle mode effimere. Per questo, anche se prediletto dai nuovi dandy, come la popstar Harry Styles che ne esibisce varianti estrose (da quella a pecorelle sfoggiata a New York nel novembre 2019, all’altra gialla a pois dello scorso febbraio, entrambe di Lanvin), lo smanicato è il nuovo must per chi lavora da casa.
Il gilet sa essere meno della giacca, ma più della T-shirt, coniuga comodità e abbigliamento formale, segna un nuovo livello di adattamento da home office, rappresenta una terza via tra abito da ufficio e street wear da tempo libero. Il tocco di professionalità funziona anche in chiave femminile. «Indossato, in versione mini o maxi, su un vestito di chiffon, su un dolcevita sottile, su una gonna a pieghe, arricchisce l’outfit, senza farlo sembrare “polveroso”, specie se non si hanno più 20 anni» consiglia Ferrè.
Peraltro, che il gilet abbia già conquistato le quote rosa lo documenta il look di Zoe Kravitz nella nuova serie tv High Fidelity: il trailer la mostra con addosso un modello di maglia verde oliva che, a dispetto dell’ambientazione a metà anni ’90, è il segno di una moda in cui i prestiti tra guardaroba di lei e di lui sono continui e il confine tra maschile e femminile è ormai sfumato e fluido.
Ma, moda a parte, c’è un’ultima buona ragione che gioca a favore del gilet. A dispetto del detto, le mezze stagioni ci sono ancora. E di fronte agli improvvisi cali di temperatura, lo smanicato di lana offre un ultimo, incontestabile pregio: permette di procrastinare il cambio dell’armadio senza soffrire il freddo. Fosse pure di semplice lana anziché cashmere, il riscoperto gilet mostra un notevole (soft) power.