L’ultima in ordine di tempo è stata Arisa: con un post sul suo profilo Facebook, la cantante e giudice di X Factor ha ironizzato contro chi, sulla stessa pagina, la attaccava per i suoi comportamenti, il suo aspetto fisico, persino la sua voce: “In realtà sono io a ridere di voi”, ha scritto. “Ebbene sì, sono piena di haters. Lo ignoravo… Pazienza. La gente superficiale che non ha un cavolo da fare esiste da sempre, imbruttita dalla noia, critica. Frustrata per non aver dato fiducia ai propri sogni. Io c’ho creduto nei miei fin da bambina, non sono bellissima (ma comunque un bocconcino succulento) e l’emotività a volte mi mangia le parole, ma so cantare e far sorridere la gente e sono felice”.
Poco prima era toccato a Laura Boldrini: la presidente della Camera aveva scelto il 25 novembre, giornata dedicata alle vittime della violenza sulle donne, per diffondere un collage dei peggiori insulti ricevuti con tanto di foto dei mittenti. È finita con le scuse sul web di due di loro, accettate dalla Boldrini con un like.
Mettere alla gogna gli “haters” (come vengono chiamati i commentatori più aggressivi) utilizzando i loro stessi mezzi è una strategia scelta da sempre più vip. Lo ha fatto la blogger Selvaggia Lucarelli, pubblicando nomi e cognomi di chi la minacciava per far capire loro come si vive sotto attacco, e a Michelle Hunziker che si è fatta portavoce di tante donne comuni che per sfuggire alla violenza hanno rinunciato ai social network, dunque a un pezzo della loro vita. Ma si tratta di mosse efficaci?
“Tutto ciò che accresce l’attenzione verso certi fenomeni è utile” risponde Antonio Pavolini, esperto di media digitali e autore dell’ebook Oltre il rumore: perché non dobbiamo farci raccontare internet dai giornali e dalla tv (Informant). “Ma se vogliamo dare l’esempio è necessario insistere sui casi, a volte meno noti, in cui gli haters più pericolosi vengono sanzionati. Perchè gli strumenti esistono, e tutelano anche le persone comuni”.
Qualche esempio? Su Facebook e Twitter agli utenti sgraditi, anche se già accettati come amici o follower, può essere impedito in qualsiasi momento di interagire con noi o di vedere i nostri aggiornamenti, segnalando i loro abusi al gestore. “Per i casi più gravi, come minacce, istigazioni, atteggiamenti discriminatori o sessisti e stalking si può, anzi si deve denunciare” continua Pavolini.
Quanto alla piattaforma fondata da Mark Zuckerberg, dove pare concentrarsi la maggior parte dei problemi, secondo l’esperto “imporre esclusioni o bollini di affidabilità, come proposto da alcuni, sarebbe come vietare le telefonate alla radio: la soluzione non sta nella censura ma nell’educazione all’uso di questi mezzi”.
Anche la lotta all’anonimato del web, per quanto invocata da molti vip, rischierebbe di rivelarsi un boomerang. “Rintracciare eventuali mittenti anonimi spesso è più facile del previsto” chiosa Pavolini “ma non dimentichiamo che l’anonimato è anche lo strumento attraverso il quale molte donne trovano la forza, proprio su Internet, di raccontare le loro storie di violenza domestica”.