Mancano pochi giorni alla nostra corsa nel deserto del Marocco, la mia routine di allenamento si è intensificata e talvolta mi è capitato di declinare un invito con la frase: «Niente caffè domattina: mi devo allenare». «Perché devo?», mi sono sentita rimbrottare. E via con la paternale che se mi alleno per dovere allora ho perso il piacere della corsa. Che forse la mia passione ha preso il sopravvento su di me. Che la vita è già piena di doveri, come posso permettere a un hobby di impormene di nuovi?
Invidio chi riesce a portare avanti qualunque cosa senza un piano, un programma. Io sono fatta in modo diverso. Quand’anche divenissi adepta del niksen, il nuovo stile di vita che arriva dall’Olanda e che predica l’inerzia e l’inoperosità come antistress, qualora lo abbracciassi in pieno, dicevo, sono sicura che metterei in agenda i momenti di ozio. Non per soffocarli ma per proteggerli.
Pratico le mie passioni con disciplina. Esco a correre che è ancora buio, anche se il cervello mi tenta a rimanere sotto le coperte. Vado al corso di ballo la sera, anche quando vorrei solo mettermi in pantofole. È senso del dovere, sì. Il dovere di farmi del bene. Perché il beneficio che mi restituiscono queste attività aumenta di pari passo con il miglioramento del risultato e con la diminuzione della fatica: è strettamente connesso alla pratica e alla dimestichezza che ho con esse.
«Il modo in cui fai le piccole cose determina il modo in cui fai tutte le cose» ha scritto qualche giorno fa @efficacemente, un life coach che seguo su Instagram. In questa frase è racchiusa una filosofia di vita: applicare lo stesso impegno al lavoro e al piacere. Perché solo così, entrambi danno i loro frutti migliori.
Anzi, è proprio la concentrazione che mettiamo in ogni signola attività della nostra vita a permetterci di staccare da tutte le altre, che siano il lavoro, le preoccupazioni economiche, le turbolenze sentimentali.
Possiamo ancora parlare di hobby o passatempi? Certo che sì.