In Cina, il 28 gennaio inizia l’anno del Gallo, annunciatore dell’alba e sprone a nuovi lavori. E – chissà se è un caso – ora la Cina conquista il cuore dei nostri ragazzi: secondo Almalaurea, il consorzio interuniversitario italiano, è diventata la prima meta di studio extraeuropea sorpassando, seppur di poco, gli Stati Uniti.
Le testimonanze di chi studia in Cina
La maggior parte di questi giovani ha da poco scollinato i 20 anni e raggiunge per 6 o 12 mesi i più prestigiosi campus cinesi. Alessandro Agnoli, studente della veneziana Ca’ Foscari e della pechinese Beida, dice: «Studio Lingue, culture ed economie dell’Asia. Il mio corso è incentrato sul cinese e l’esperienza sul posto è quindi fondamentale. La Cina per me è diventata casa: ho visto molte città e fatto anche volontariato come insegnante. Quando torno nel mio paesino nel veronese, qualcuno mi guarda ancora come se fossi un marziano».
Silvia Conticelli, orvietana e pure lei cafoscarina, aggiunge: «Sono a Pechino per un master in Public administration and government fino a giugno. Questo è un mondo tutto da scoprire e anche ricco di contraddizioni: è un Paese con treni ultraveloci e grandi performance economiche, ma in molti bagni non si può gettare la carta igienica perché il sistema fognario arretrato non la “reggerebbe”».
Dall’ex Celeste impero Giulia Gori, studentessa di Ingegneria informatica a Roma Tre, è già stata “sedotta” al momento della scelta delle superiori: «Mi sono iscritta in uno dei primi licei scientifici dove si studia anche mandarino. Quando, all’università, ho potuto scegliere tra un Erasmus in Spagna e una borsa di studio a Pechino, ho preferito la seconda perché penso mi apra più porte per il lavoro. Stare in Cina insegna a essere duttile, a resistere di fronte alle difficoltà senza perdere il sorriso».
Le difficoltà di chi studia in Cina
Entusiasti e caparbi questi ragazzi, ma anche critici, se serve, verso quel Paese. «Difficile per noi occidentali accettare un’abitudine come quella ancora diffusa di sputare per terra. Un duro scoglio è la burocrazia, rigida e complessa» dice Silvia Conticelli.
Poi c’è la questione inquinamento. «Alcuni miei amici restano barricati in casa nelle giornate in cui il livello è alto. Io non ho mai avuto problemi fisici, ma non è bello essere circondati dal grigiore» racconta Luigi Favella, di Afragola (Na), iscritto alla Scuola di interpreti e traduttori a Forlì e borsista globetrotter tra il Belgio e la Cina.
Alessandro Agnoli aggiunge: «Qualche volta non è semplice stringere amicizia con i coetanei cinesi: in tante università hanno il coprifuoco per il dormitorio alle 22, l’ora in cui noi usciamo. Loro fin da piccoli trascorrono molte ore sui libri, crescono con l’impulso a essere i migliori per avere buoni risultati a scuola e sul lavoro, ma trascurano il gioco e il divertimento».
Come pagarsi gli studi in Cina
Spronati dalla voglia di futuro costruito su una tradizione culturale millenaria, i nostri giovani trovano oggi vari canali per arrivare in Cina. «Le borse di studio sono offerte principalmente da tre enti: gli stessi atenei, il ministero degli Esteri e l’Istituto Confucio, che è promosso dal governo di Pechino per diffondere lo studio del cinese e presente in una decina di università» spiega Maria Cigliano, direttore esecutivo dell’Istituto Confucio all’Orientale di Napoli. Con le borse si coprono molte spese, a cominciare dalle tasse. «I prezzi per l’alloggio a Pechino e Shanghai cominciano a lievitare; siamo intorno ai 350 euro al mese. I costi di vitto restano concorrenziali» dice Tiziana Lippiello, sinologa, Prorettrice vicaria dell’ateneo veneziano con delega alle relazioni internazionali.
Cos’è la doppia laurea italiane e cinese
La professoressa Lippiello sottolinea la possibilità di double degree, la doppia laurea, in cinese, riconosciuta in entrambi i Paesi e “targata” Ca’ Foscari-Capital Normal University di Pechino. I nostri ragazzi infiocchettano il curriculum anche con altri titoli sino-italiani. Per esempio, con percorsi di studio tecnologici che prevedono lezioni in inglese.
I Politecnici di Milano e Torino organizzano molteplici attività e laboratori che coinvolgono partner cinesi di differenti Province. «Promuoviamo la doppia laurea in vari indirizzi: da Ingegneria informatica ad Architettura» spiega Michele Bonino, delegato del Rettore ai rapporti con la Cina del Politecnico torinese. Professore di Progettazione architettonica urbana, lui stesso ha trascorso lunghi periodi come docente a Pechino.
La partnership tra atenei porta a scambi biunivoci di insegnanti e studenti. «Noi mandiamo italiani in Cina e cinesi arrivano da noi» conferma Ilaria Poggiolini, delegato del Rettore per i processi di internazionalizzazione dell’università di Pavia, ateneo che ha attivato il Double Master Degree in Building Engineering and Architecture. «Assistiamo a un fenomeno mondiale: milioni di ragazzi non studiano (solo) nel Paese in cui sono cresciuti». E – chissà se è un caso – proprio tra i due poli dell’antica Via della seta c’è ora un gran movimento di giovani e prof impegnati a costruire una nuova via del sapere.
I vantaggi sul lavoro di chi studia in Cina
Le ricerche del consorzio interuniversitario Almalaurea dicono che tra i laureati in Italia nel 2015, in 688 (il 70% dei quali donne) hanno fatto un’esperienza di studio in Cina riconosciuta dal proprio corso. Hanno terminato gli studi in media 2 anni prima degli altri laureati e con un voto di 104,2 contro una media di 102,3. Tra coloro che hanno conseguito una laurea magistrale nel 2014, dopo 1 anno chi ha fatto un’esperienza di studio in Cina ha nel 78% dei casi già un lavoro (contro il 70% della media) e con una retribuzione maggiore (1.386 euro netti contro 1.132).
Gli atenei cinesi più prestigiosi
Alcune università cinesi stanno ottenendo importanti riconoscimenti a livello internazionale. Secondo i dati del World reputation rankings 2016,
per esempio, la Tsinghua e la Beida, entrambe a Pechino, hanno raggiunto rispettivamente il 18° e il 21° posto della classifica mondiale delle università.