È una tentazione quotidiana per tutte noi. Vorremmo tanto portare a casa quell’orsetto glitterato visto sulle bancarelle al mercato o quella tovaglietta da colazione tirolese che ci chiama da una vetrina. Possiamo essere inflessibili su ogni minimo particolare del nostro look ma, quando arriverà Natale, infileremo anche noi ai piedi i calzettoni con le renne disegnate. Non sentiamoci in colpa, non c’è nulla di sbagliato. Eccentricità, esagerazione e accostamenti azzardati sono dappertutto. Perché nel guardaroba, e non solo, oggi domina il kitsch.
Un gusto talmente popolare da essere diventato sinonimo di bello. Le fashion addicted l’hanno prontamente ribattezzato stile “ugly chic”: ovvero, brutto ma elegante. E alla galleria d’arte Barbican di Londra si è appena inaugurata la mostra The vulgar. Fashion redefined. Un viaggio tra foto, film, manoscritti, abiti antichi e creazioni contemporanee di haute couture e pret-à-porter che testimoniano come l’eccentricità sia un elemento chiave della nuova eleganza. Se una cosa è kitsch, acquista subito un’allure contemporanea. Ma perché piace tanto?
Ci mette di buon umore
Fino agli anni ’60 il kitsch indicava un prodotto industriale di poco valore, triste. È grazie ai quadri del padre della Pop Art Andy Warhol che diventa spiritoso e divertente. Nello Barile, docente di Sociologia dei media all’università Iulm di Milano, osserva: «Gli oggetti kitsch ci attraggono perché sono carichi di colore e decori. Comprarli è un modo per non prenderci troppo sul serio». Anche ai fornelli, dove i dolci americani spopolano. Facci caso: sui banconi delle pasticcerie i cupcakes arcobaleno e le torte alla crema di burro dai toni pastellosi hanno spodestato i nostri babà al rum e le Saint-Honoré. E basta andare un sabato pomeriggio dal parrucchiere per accorgersi che le classiche mèches biondo oro hanno lasciato il passo a ben più curiose ciocche arcobaleno: verde petrolio, azzurro, lilla. Perfino Caterina Balivo, conduttrice di Detto Fatto su Rai2, ha optato per una testa rosa baby. Dimostrazione che l’esuberanza del kitsch è perfetta anche per una brava ragazza.
Ci rassicura
«Ai nostri occhi gli oggetti kitsch, romantici e pittoreschi, risultano autentici e regalano un immediato senso di appartenenza. L’esatto contrario dei modelli che le pubblicità perfette ci propongono» osserva il sociologo Nello Barile. Pensa agli oggetti che affollano le bancarelle di ogni città turistica: dalle tovaglie plasticate con l’immagine degli spaghetti ai portachiavi souvenir a forma di Colosseo o Torre di Pisa, fino ad arrivare ai santini votivi. Fanno parte della nostra storia e ci fanno sentire a casa. Tanto da finire nella prossima collezione estiva di Dolce & Gabbana. Non serve essere degli amanti del design per avere in salotto gli sgabelli a forma di gnomo di Philippe Starck. In fin dei conti, sono gli stessi nani da giardino di quand’eravamo bambini. «Il kitsch è un linguaggio comprensibile per tutti: è semplice e diretto perché evoca sentimenti e ricordi del passato» commenta Barile. Così una giacca jacquard di Miu Miu o le décolleté zebrate di Gucci ci fanno tornare alla mente il salotto della zia, con il divano a fiori, i cuscini all’uncinetto e magari un tappeto di finta pelliccia. Terribili? Forse. Ma ci emozionano, e sotto sotto li preferiamo a un abito bon-ton.
Ci fa sentire unici
Immediato, stravagante, diverso: nell’affollato universo digital dove tutto è fotografato e postato alla velocità della luce, il kitsch non rischia di passare inosservato. «Buca lo schermo» sintetizza Barile «sia della tv sia dello smartphone». E anche del cinema. A Hollywood il re del kitsch è Tim Burton, con quei personaggi dai look bizzarri e dalla personalità sopra le righe. Il suo film Miss Peregrine. La casa dei ragazzi speciali, nelle sale dal 15 dicembre, è già un fenomeno su Instagram. Ma, se ricoperte di cristalli e perle, anche le nostre banali ciabattine di plastica o le cover del cellulare escono dall’anonimato e diventano condivisibili in Rete. Insomma, il kitsch è davvero il linguaggio della nostra epoca in cui la parola d’ordine è “stupire”. Attenzione però, è merce che scotta. Da utilizzare senza farsi prendere la mano. Perché il cattivo gusto non è scomparso, tutt’altro. Solo che non si chiama più kitsch.