Un’industria che vale 1,2 miliardi di dollari l’anno e che ha visto aumentare vertiginosamente la richiesta negli ultimi cinque anni. Parliamo della produzione industriale di latte di mandorla, anche se sarebbe più corretto definirlo “bevanda”, visto che è definito “latte” solo ciò che ha origine animale. La bevanda è diventata incredibilmente di tendenza grazie alle sue molte proprietà – è leggera, digeribile, si può conservare a lungo – ed è oggi amata da moltissimi consumatori nel mondo. Com’era prevedibile, però, questa rapidissima crescita non è priva di lati oscuri.
La produzione è troppo intensiva
Una recente inchiesta del Guardian rileva infatti come soltanto nell’inverno del 2019 oltre 50 miliardi di api siano morte durante la stagione dell’impollinazione. Si tratta di un terzo della popolazione di api americane allevate per fini commerciali. Sono numeri impressionanti e provengono dalle piantagioni della Central Valley in California, uno dei maggiori centri di produzione di mandorle al mondo, dove le api vengono impiegate a ritmi spaventosi per l’impollinazione dei mandorli.
Questo tipo di impollinazione è molto faticosa per le api. Secondo le testimonianze raccolte dal quotidiano britannico, negli anni ’80 un allevatore perdeva circa il 5% delle sue api durante la stagione dell’impollinazione, perlopiù a causa dei parassiti o delle cattive condizioni atmosferiche. Già intorno al 2000 il numero delle morti era incredibilmente aumentato e oggi, in alcuni casi, si può perdere un’intera colonia.
In questo tipo di piantagioni, inoltre, è molto frequente l’uso di pesticidi. Tra i più utilizzati c’è il Roundup, un agrofarmaco a base di glifosato su cui esiste il sospetto che sia cancerogeno per gli esseri umani. Secondo alcuni studi, però, è una delle principali cause della morte delle api, perché ne indebolisce il sistema immunitario. «È come mandare le api in guerra, molte di loro non torneranno», ha detto un ricercatore del Center for Bilogical Diversity al Guardian.
Pensare alla salute, ma anche all’etica
La bevanda di mandorla, dicevamo, ha conosciuto un enorme successo negli ultimi anni grazie anche alla diffusione di una nuova coscienza alimentare, che privilegia gli alimenti a base vegetale o i cosiddetti “superfood”, come l’avocado, il salmone, il tonno rosso e le stesse mandorle. Non si può più ignorare il fatto, però, che qualsiasi tipo di produzione intensiva è irrimediabilmente dannosa per l’ambiente e la salute. Le coltivazioni di avocado stanno desertificando intere zone del Sud America per poter star dietro alla richiesta internazionale mentre gli allevamenti ittici nel Nord Europa (e non solo) sono oggi sotto scrutinio per il tipo di mangimi utilizzati e le pesanti ricadute sull’ecosistema.
Come segnala Valori.it, «anche in Italia il consumo del latte di mandorla è cresciuto in maniera esponenziale: i dati a disposizione risalgono al 2016 quando si registrava più 75% di bevande a base vegetali (mandorla, nocciola, avena e cocco). Se da un lato dunque ridurre il consumo di prodotti che arrivano da allevamenti industriali e intensivi è un bene per ambiente, biodiversità, animali e salute, ripiegare su un prodotto industriale seppur a base vegetale non risolve di certo la situazione». Un’indicazione di cui tener conto ogni volta che scegliamo cosa mettere in tavola.