Di Marie Kondo non si fa che parlare. Soprattutto ora che ha portato in tv un programma dal titolo “Facciamo ordine con Marie Kondo“(su Netflix), in cui entra nelle incasinatissime case di alcuni americani e cerca di portare ordine nelle loro incasinatissime vite. C’è chi la ama, e ha modificato la sua esistenza seguendo i suoi consigli racchiusi nel fortunato libro “Il magico potere del riordino” (Vallardi) e chi la odia per l’atteggiamento da maestrina (ma chi è lei per dirmi cosa devo buttare?).
Tant’è. Ciò che dice è dettato dal buonsenso. Anche mia madre, 20 anni prima di Marie Kondo, mi invitava a eliminare tutto quello che non mettevo e usavo più, cosa di cui a volte mi sono pentita. Marie però ha scoperchiato il vaso di Pandora: le nostre case sono piene di roba e, credetemi, non c’è niente di meglio di un trasloco per rendersene conto. Oggetti accumulati e abbandonati nei fondi di cassetti e armadi, cose di cui non sentiamo davvero l’esigenza e di cui abbiamo dimenticato il motivo per il quale volevamo tenerli. Mug sbeccate, biglietti della metro usati, decine di collant dello stesso colore, articoli di giornale…
Si chiama accumulo, paura di perdersi qualcosa, direbbe uno psicoterapeuta. Oppure consumismo, quella voglia di avere sempre di più per sentirsi ricchi e al sicuro, chioserebbe un sociologo. Fanno eccezione i libri. Ma di questo parleremo dopo.
Intanto: in cosa consiste davvero il metodo Marie Kondo? Lo abbiamo chiesto direttamente a lei. Via mail in inglese, dato che io non parlo il giapponese e lei non conosce l’italiano, e la distanza oltreoceanica non è proprio l’ideale per parlarsi in 3 al telefono (io, lei e l’interprete).
Partiamo dagli step. Quali sono?
«La maggior parte dei metodi di riordino consistono nel mettere a posto stanza per stanza o poco a poco» mi scrive. «Il che ti spinge a raccogliere per sempre le tue pile di roba. Il Metodo KonMari (sì è diventato un vero e proprio metodo certificato, ndr) incoraggia il riordino per categoria, non per posizione, cominciando dai vestiti, passando poi a libri, documenti, komono (con questo termine lei intende oggetti vari) e infine gli articoli sentimentali. Mantieni solo quelle cose che parlano al cuore e scarta oggetti che non suscitano più gioia. Ringraziali per il loro servizio, quindi lasciali andare». Sul perché bisogna ringraziarli, lo abbiamo già spiegato qui.
Su come fare, Marie è molto chiara: «Ci sono sei regole base per imparare a mettere in ordine: 1. Impegnati a riordinare. 2. Immagina il tuo stile di vita ideale. 3. Devi finire prima di scartare. 4. Ordina per categoria, non per posizione. 5. Segui l’ordine giusto. 6. Chiediti se ti dà gioia».
E se non funziona?
Marie non demorde: «Se segui queste 6 regole di base per mettere in ordine, sarai in grado di affrontare tutto e capirai cosa ti rende felice e di che tipo di cose vuoi essere circondato nella tua vita». Mi spiega anche che molte persone in tutto il mondo sono state attratte da questa filosofia non solo per la sua efficacia, ma anche perché attribuisce grande importanza all’essere attenti, introspettivi e lungimiranti. In pratica, le scrivo, è una missione. Risponde che sì, ed è per questo che ha fondato la compagnia KonMari Media, Inc., ormai un vero e proprio brand, date un’occhiata al sito konmari.com.
Quante persone ha aiutato finora?
Le chiedo. «Nel corso degli anni tantissime. All’inizio in Giappone lavoravo con i clienti uno a uno. Poi con i miei libri ho venduto oltre 11 milioni di copie in tutto il mondo. Adesso ho dei consulenti certificati, rigorosamente formati col Metodo KonMari, che mi aiutano. Infine c’è la trasmissione, dove ho lavorato con otto famiglie meravigliose».
Ha mai fallito?
«Quando davo lezioni individuali, mi veniva chiesto spesso dai clienti di aiutare altri a mettere in ordine: le madri, i mariti… Ma non funzionava: quella persona in genere non completava la lezione e ricadeva, per così dire, nell’originario stato di disordine. Era frustrante, ma alla fine ho capito che chi vuole farlo deve essere seriamente intenzionato a cambiare la propria vita attraverso il riordino. E così ho cambiato il mio modello di business.»
Ma perché è così difficile disfarsi delle proprie cose?
«Ci sono solo tre ragioni per cui è difficile lasciare andare gli oggetti: un attaccamento al passato, una paura per il futuro o una combinazione di entrambi. Queste barriere psicologiche si manifestano come attaccamenti agli oggetti fisici. La chiave per superare questo ostacolo è chiedersi perché è difficile lasciare andare qualcosa e capire il proprio modello di proprietà. Conservi oggetti del passato per paura di perderne memoria? Mantieni gli oggetti che funzionano ma che non ti piacciono perché hai paura che non sarai in grado di trovare un sostituto? Una volta compresi i tuoi schemi, diventa più facile affrontare le tue paure e i tuoi attaccamenti».
Si aspettava un tale successo?
«All’inizio no. Pensavo che questa esigenza di riordino fosse unicamente giapponese. Dopo ho capito che la necessità di riordinare non riguarda un particolare paese o uno stile di vita: è globale». Quali sono i vantaggi di avere sempre meno cose? Le chiedo per concludere: «Sprechiamo troppo tempo pensando a come gestire i nostri beni. E così dimentichiamo il motivo originario per cui vale la pena di possedere certe cose: renderci felici e sostenere il nostro ideale di vita».
E i libri?
Avrei voluto chiedere qualcosa sui libri perché sul fatto di buttare anche quelli sul web è partito un dibattito, fatto di opinioni e punti di vista. Si possono mettere sullo stesso piano dei collant o delle vecchie tazze con “Guerra e Pace”? Certo che no. I libri contengono storia, emozioni, cultura, sono un investimento affettivo e personale. La stessa Marie Kondo alla fine ha risposto alla querelle con una battuta a un sito americano (lo potete leggere qui) in cui tranquillizza i bibliofili: «No, non dovete buttare via i libri se vi rendono felici».
Quindi cara Marie, anche io come scrive Deborah Levy sul Guardian non mi disferò dei miei scaffali pieni di romanzi e saggi che rappresentano la mia vita, quello che sono stata, sono e sarò. Molti non li leggerò più, molti non mi rappresentano più e non mi “parlano” più, e di molti non troverò magari nemmeno il tempo per sfogliarli, ma sono “semi” che rimangono a disposizione di amici, figli, e di chi vorrà curiosarci dentro. Per il resto, cercherò di fare spazio ed eliminare le cose davvero inutili.