Dobbiamo tornare alla Rivoluzione Francese: fu allora che gli uomini abbandonarono merletti, colori sgargianti, redingote su calzamaglie, tacchi e parrucche. L’epoca della “Grande Rinuncia Maschile” – come fu chiamata nel 1930 da John Flügel nel suo saggio Psicologia dell’abbigliamento – provocò un terremoto nel guardaroba: i nuovi valori sociali legati al potere economico, politico e sociale imposero la sobrietà e il rigore di un’uniforme – giacca e pantaloni – che portò l’abbigliamento maschile occidentale a distinguersi da quello femminile.

Ma allora perché si parla tanto di gonne da uomo, ultimamente?


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BELLI E CONVINTI
Nel mondo della musica e dello sport sempre più maschi, con stile e convinzione, indossano la gonna.

Nella foto, Damiano David, frontman dei Måneskin.


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– Un modello Wales Bonner.
IMAXtree
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– Un modello Louis Vuitton.
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– Un modello Louis Vuitton.

Gonne da uomo: una novità? Non proprio

Una novità? Non proprio. L’invenzione della gonna come capo d’abbigliamento per uomini e donne risale alle civiltà mesopotamiche del 5.000 a.C., che si legavano alla vita pelli di animali per proteggersi. Ma anche gli Egizi annodavano teli di lino sotto l’ombelico, e Greci e Romani indossavano il peplo. In molti Paesi africani gli uomini continuano a indossare tuniche e kaftani, in India si porta il dhoti, nel Sud Est Asiatico il sarong, in Giappone il kimono. In Scozia il kilt resta indispensabile a cerimonie ed eventi ufficiali e non diremmo mai che, nella loro amata gonna a quadretti, il leggendario Sean Connery o l’attore Ewan McGregor abbiano mai perso in virilità.

Eppure, nel resto dell’Occidente, la gonna resta femmina. Perché? «Perché l’idea contrasta con le convenzioni, sfida i canoni del comportamento» ci spiega Eugenio Gallavotti, docente di Giornalismo e Comunicazione della moda nelle università Iulm e Statale di Milano. «Un uomo con la gonna è percepito come femminile. Ma è corretto dire che l’abito ha un sesso? L’uomo con i pantaloni e la donna con la gonna sono stereotipi quindi, se era politicamente scorretto ghettizzare le donne in pantaloni, prima o poi sarà inopportuno emarginare un ragazzo con la gonna». E pare che il momento sia arrivato, perché la moda capta tutto, anche i desideri più inconfessabili.

In principio fu Jean Paul Gaultier

Nel 1985, nella sua sfilata “E Dio creò l’uomo”, l’enfant terrible della moda francese propose pantaloni a gamba larghissima con una falda ripiegabile davanti: era a tutti gli effetti una gonna da uomo. Poi ne seguirono altre per mano di stilisti controcorrente come Rick Owens, Marc Jacobs, Comme des Garçons, Yohji Yamamoto, Dries Van Noten. Nel 2002, in qualità di sponsor della mostra Men in skirts al V&A Museum di Londra, che analizzava la migrazione della gonna dall’abbigliamento maschile a quello femminile, Gaultier invitava a non tirare in ballo l’omosessualità, ma piuttosto a rileggersi la storia, andare per mostre o guardare David Beckham.


La gonna sta cercando di tornare nell’armadio maschile da oltre 30 anni. E forse, grazie alle nuove icone della fluidità stilistica, questa è la volta buona


Già, perché che le gonne non potessero minare virilità e potere fu chiaro quando il giovane bomber londinese fu paparazzato in sarong, stampandosi nella memoria anche di chi di calcio non capiva niente. Nonostante l’assist di Beckham, la gonna ha tentato a lungo di imporsi negli armadi maschili, ma la disconnessione tra passerelle-tappeti rossi e abbigliamento quotidiano è rimasta incolmabile. Fino a oggi. Perché la spallata sta arrivando da fronti differenti: celeb e campioni, giovani della Gen Z e uomini qualunque.

La gonna è il nuovo oggetto del desiderio di tutti

Secondo l’analisi della piattaforma fashion Lyst, tra i pezzi più cercati sul web dal pubblico maschile negli ultimi mesi c’è la gonna di Thom Browne. Il designer (che propone gonne da uomo da tempi non sospetti) ha saputo intrigare tanto gli acquirenti quanto gli idoli dell’Nba. Alle sfilate newyorchesi, Russell Westbrook dei Lakers e Jordan Clarkson degli Utah Jazz si sono presentati elegantissimi nelle gonne a pieghe di Browne.

Poi è arrivato lui, il super campione di Formula 1, quel Lewis Hamilton che si è presentato all’Istanbul Speed Park con gonnellino a pieghe su pantaloni coordinati Burberry. Scelta non da poco nel circuito di uno sport intriso di machismo.

Queste nuove, inaspettate icone della fluidità stilistica danno man forte a “veterani” come Harry Styles e Billy Porter. E agli italiani Ghali e Mahmood, Damiano e Sangiovanni, l’ultimo a far parlare di sé sul red carpet della Festa del Cinema di Roma con una lunga gonna di Barrow, giacca da smoking e smalto blu elettrico, mixando elementi maschili e femminili. Forse, per non trovare più destabilizzante un uomo con la gonna, abbiamo solo bisogno di un’evoluzione graduale e continua, com’è successo per le donne in pantaloni.

«La gonna al maschile riuscirà a imporsi perché fa parte della nostra cultura, che è anche ciclica. Non dimentichiamo che Dante e Beatrice vestivano uguali» ipotizza Gallavotti. «Quando accadrà? Molto dipenderà da come e quanto la generazione Alpha (i nati dal 2010 in poi, ndr) seguirà le orme della Gen Z sui temi dell’inclusione». Forse ha ragione Harry Styles, primo maschio a posare da solista su una copertina di Vogue America e pure indossando una gonna. «I vestiti esistono per farci divertire, sperimentare e giocare» dice. E ha ragione: la moda è o non è uno strumento di espressione universale?