Van Gogh Alive – The experience è l’esposizione più visitata al mondo. Ovunque sia sbarcata, dall’Australia agli Stati Uniti, dall’Italia fino all’ultima tappa di Lugano, si è guadagnata un successo strepitoso: a Roma, nel 2017, ha venduto 150.000 biglietti. In mostra non ci sono quadri. Il pubblico si immerge nel mondo del maestro olandese attraverso proiezioni, luci e suoni. È l’esempio più eclatante di quanto il digitale stia cambiando il modo di godere l’arte.
«Da un lato le nuove tecnologie facilitano molto chi organizza queste esposizioni perché permettono di creare eventi di grande richiamo senza spendere neanche un euro per trasportare e assicurare dipinti, disegni e sculture» spiega Valerio Dehò, docente di estetica all’Accademia di belle arti di Bologna e curatore della mostra Looking for Monna Lisa (a Pavia, fino al 29 marzo). «Dall’altro, però, la riproduzione virtuale non dà niente di più al visitatore. Anzi, cancella alcuni aspetti fondamentali per capire e apprezzare le opere d’arte, come i colori e le dimensioni».
Perché vedere una mostra dove mancano le opere?
Ma allora perché vedere una mostra dove mancano le opere? Perché la realtà virtuale può essere un valore aggiunto quando si trasforma in una vera “experience” e rivela i retroscena storici. Dehò l’ha utilizzata nella mostra che indaga Monna Lisa e i rapporti di Leonardo con Pavia per sciogliere il mistero dei misteri: chi è veramente la Gioconda? «Ho deciso di dedicare la chiesa sconsacrata di Santa Maria Gualtieri, una delle quattro sedi dell’esposizione, all’esperienza multimediale Monna Lisa who?, un percorso che mette a confronto con proiezioni animate le diverse versioni del capolavoro e i disegni di Leonardo, come in un poliziesco che individua il colpevole attraverso degli indizi. La soluzione? Secondo gli ultimi studi la dama dal sorriso enigmatico sarebbe Isabella d’Aragona, incontrata da Leonardo proprio a Pavia». In questo caso lo storytelling digitale diventa uno strumento per comunicare a tutti una scoperta altrimenti confinata nel campo degli studi specialistici. E il pubblico apprezza. «La chiesa di Santa Maria Gualtieri è la sede più visitata» conferma Dehò.
Con la multimedialità si viaggia nel tempo
Nei siti archeologici le “virtual experience” diventano un modo per esaltare i resti di templi e ville antichi creando scenari spettacolari. Lo dimostra l’itinerario multimediale nel Parco archeologico del Colosseo e della Domus Aurea, messo a punto da poco. «Oltre a ricostruire quello che non esiste più, la realtà virtuale trasmette una forte emozione che aiuta chi non è esperto a farsi un’idea dei complessi monumentali del passato» spiega l’architetto Stefano Borghini, responsabile tecnico della Domus Aurea e del progetto digitale del sito. «Abbiamo scelto tecnologie diverse a seconda dei monumenti. A Santa Maria Antiqua, per esempio, il video mapping fa apparire sulle pareti della chiesa gli affreschi scomparsi, mentre nella Domus Aurea basta indossare un visore VR per tornare ai tempi di Nerone e vedere la sua villa inondata di luce, com’era prima che venisse sepolta sotto strati di terra».
I resti della dimora dell’imperatore incendiario ospiteranno a partire dal 19 marzo la mostra Raffaello e la Domus Aurea. L’invenzione delle grottesche dove, grazie a proiezioni virtuali, si potrà rivivere l’emozione degli artisti cinquecenteschi che si calavano sotto terra con una torcia per vedere le decorazioni coloratissime della domus appena ritrovate. Una sorpresa anche per noi, visto che ormai quelle grottesche sono quasi cancellate dall’umidità.
Chi invece visiterà Tutankhamon, viaggio oltre le tenebre a Milano (Palazzo Reale, dal 20 febbraio) potrà ammirare dal vero la statua del giovane faraone proveniente da Hannover e contemporaneamente assistere virtualmente al ritrovamento della sua tomba.
Con le nuove tecnologie cambiano i musei
Il 17 aprile inaugurerà a Bordeaux il Bassins de Lumières (bassins-lumieres.com), il centro di arte digitale più grande del mondo, allestito in una ex base sottomarina. La prima mostra in programma, Klimt gold and colour, è una video installazione creata dall’artista Gianfranco Iannuzzi insieme ai musicisti Renato Gatto e Luca Longobardi dove i quadri di Klimt vengono scomposti e mixati per creare uno spettacolo di puro godimento estetico.
Ma lo spazio più sorprendente per la nuova arte digitale è il Mori building di Tokyo (borderless.teamlab.art) ideato nel 2018 da TeamLab Borderless, un collettivo che comprende artisti, architetti, ingegneri e programmatori: le loro installazioni immersive rendono il visitatore protagonista. «Quando entriamo in un museo tradizionale con i quadri appesi alle pareti la presenza di troppe persone è sempre un fastidio. Nelle nostre opere, invece, i visitatori immersi nelle opere sono un fattore positivo perché tutti possono modificare le installazioni con i loro gesti» ha spiegato Takashi Kudo. Così l’arte si trasforma in una creazione di gruppo in continuo divenire. E a giudicare dai numeri, l’idea piace: nel primo anno di attività il Mori building art museum ha accolto 2,3 milioni di visitatori. Più del museo Van Gogh ad Amsterdam.