Mi sbaglio o qualche decennio fa il rosa era considerato un colore zuccheroso, vanitoso e persino po’ schiocchino? Lo portava solo Barbara Cartland. Io da piccola non mi vestivo di rosa. Ricordo un maglione sferruzzato da quel genio della maglia di mia nonna e una collana di pietre dure regalo delle amiche del cuore. Basta. Oggi il rosa non solo è diventato il total look obbligatorio delle bambine ma ha conquistato il mondo adulto: la moda, la pubblicità, internet (avete presente Tumblr?) guadagnando una straordinaria credibilità.
La palette del nuovo millennio va dal cipria al salmone passando per il quarzo. Di rosa quarzo, per esempio, posseggo un blazer. Si tratta della tinta che l’anno scorso è stato eletta da Pantone, l’azienda che cataloga i colori, “sfumatura perfetta per combattere lo stress”. Nasce da qui il fenomeno “millennials pink”, il rosa amato dalla generazione dei 15-35enni. Una fascia di popolazione che, forse mi illudo, è disponibile a superare gli stereotipi di genere. Il mio blazer quarzo ha preso il posto di un giubbotto verde carciofo Cynar. Tinta che funzionava pure lei contro il logorio della vita moderna, ma negli anni Sessanta. Rispetto a oggi, capirai, solletico.
Per la primavera 2017, sempre Pantone ha scommesso su una tonalità ancora più pallida e delicata, denominata Pale Dogwood. Ho cercato su Wikipedia, sarebbe il fiore di corniolo. Molto chic, magari per un golfino.
Questi tipi di rosa funzionano benissimo anche nei prodotti tecnologici di largo consumo e nell’arredamento. Grande novità, quindi: il rosa non si associa in automatico alla bustina del salvaslip. Al contrario. Basta pensare a due prodotti di massa per eccellenza, l’iPhone Rose Gold e il divano Ikea Soderhamn rosa pallido, che non sono destinati alle donne soltanto, ma ai giovani. Femmine, maschi e gender fluid.
Come ha spiegato Pantone, “il rosa quarzo è una tonalità convincente ma gentile che trasmette compassione e compostezza”. Un’attitudine che sta indifferentemente sia nell’animo degli uomini sia delle donne. Basta ammetterlo. Che poi, a fare un passo indietro, l’idea che sia un colore “da donne” è tanto recente quanto artificiosa. Gli storici della moda osservano che l’abbinata risale agli anni Quaranta negli Stati Uniti. Guardando i quadri antichi, gli abiti di dame e regine erano blu, tinta preziosa e difficile da ottenere.
Secondo alcuni, il rosa sarebbe piuttosto maschile, perché vicino all’assertivo, impulsivo ed energico rosso. Un’ipotesi interessante. Mio figlio (quello più scatenato) prima di andare all’asilo li indicava come preferiti. Ai suoi occhi educati dai pennarelli ed estranei alle convenzioni di genere, erano entrambi “forti”. L’ascesa del millennials pink ha implicazioni sociali suggestive. Ma il suo successo ha una motivazione estetica immediata: la luminosità. Le nuove sfumature vincono perché hanno i pregi del basic – sono sobrie, abbinabili, stanno bene a tutti e con tutto – e, in più, creano un punto luce sul viso, sulla figura, nella casa. Un’esaltazione del concetto di “giovane” e “sano” che il beige e il grigio non riescono a trasmettere.
Per non parlare del bianco e del nero, che spingono al total look e a stili radicali e manichei. Nell’abbigliamento i giovani prediligono le tinte basic per la portabilità e perché non hanno bisogno di usare i colori per valorizzarsi e mimetizzare l’età. Oltre la fascia dei Millennials, il rosa piace, sì, ma Pale Dogwood e le altre sfumature soft convincono meno. Pesano i limiti culturali e una fisiologica incomprensione tra generazioni.
Però, se pensi al look, la spiegazione è semplice. Il fucsia sta meglio del nude se lo accosti a un volto segnato, a capelli (e barba) sale e pepe o bianchi. Senza contare che “da grandi” è più divertente farsi contagiare dalla frivolezza del pink che dalla compostezza del rose. Barbara Cartland aveva già capito tutto.