«Alpha ha un clima simile a quello delle Hawaii, così viviamo in gran parte all’aperto. Il nostro appartamento è grande all’incirca come la nostra vecchia casa sulla Terra, e ha un giardino… Spesso Jenny e io pedaliamo lungo l’asse a gravità zero per circa mezz’ora. Se decidete di venire, fateci sapere il numero del volo. Edward e Jenny». L’anno è il 1977 e il libro è Colonie umane nello spazio di Gerard K. O’Neill, un classico nel genere. Che non è la fantascienza, ma la divulgazione scientifica. Mentre lo scrive, O’Neill insegna alla Princeton University e studia con la Nasa alcuni progetti di habitat extraterrestre.
Prima Richard Branson…
Avanti veloce: 11 luglio 2021. Quando in Italia sono le 3 del pomeriggio (e il giornale che avete in mano è da poco andato in stampa) Richard Branson vola nello spazio con la missione Unity 22. La data è storica, ma non perché il patron del gruppo Virgin sia il primo miliardario a superare l’atmosfera (la lista, in realtà, è stata inaugurata nel 2001 da Dennis Tito, che nello spazio ci è andato 2 volte con la Soyuz, con biglietti da 20 milioni di dollari ciascuno).
Richard Branson è però il primo a uscire dall’atmosfera su uno “spazioplano”, il Vss Unity, costruito dalla propria azienda, la Virgin Galactic, fondata nel 2004 con l’obiettivo di «aprire lo spazio a tutti». Tutti quelli, almeno per ora, che hanno 250.000 dollari per comprarsi la possibilità di oltrepassare la “linea di Karman”: ovvero il confine, a 100 chilometri di quota, fra il Pianeta e il vuoto. È il cosiddetto volo suborbitale, perché non consiste in un giro completo attorno alla Terra, ma in un balzo oltre il cielo per ammirarne la curvatura e galleggiare in microgravità.
… poi Jeff Bezos
Richard Branson si è accaparrato il primato al fotofinish: il 20 luglio Jeff Bezos ripeterà l’impresa a bordo di New Shepard, un veicolo per voli suborbitali realizzato dalla sua Blue Origin. Per l’occasione, il fondatore di Amazon non si farà mancare niente: con lui a bordo, oltre al fratello Mark, Bezos avrà un passeggero con un biglietto da 28 milioni di dollari, e Wally Funk, 82 anni di leggenda dell’aviazione americana. Funk è infatti una delle cosiddette “Mercury 13”, il gruppo che negli anni ’60 dimostrò quanto le donne fossero adatte alle missioni spaziali.
Grazie a Blue Origin, otterrà una rivincita, dato che, sebbene i risultati dei test furono entusiasmanti, la Nasa non contemplò le Mercury 13 nella corsa alla Luna. Non è peraltro casuale il giorno scelta per il lancio, il 52esimo anniversario dell’allunaggio dell’Apollo 11, quello che portò Neil Armstrong a fare «un piccolo passo per un uomo e un balzo gigantesco per l’Umanità».
Perché tanti sforzi per volare in orbita?
Converrebbe soffermarsi su quest’ultimo, simbolico punto per capire come mai oggi ci si prodighi tanto per volare in orbita. Per praticare, cioè, il “turismo spaziale”, quello che per ora è il più esclusivo dei viaggi ma che i suoi fautori prevedono si estenderà presto anche a chi non abbia qualche fantastiliardo sul conto corrente. L’obiettivo è fare in modo che, come Jenny ed Edward di Colonie umane nello spazio, volare via dalla Terra diventi prassi diffusa, se non ordinaria. Per questo intendere il turismo spaziale solo come il vezzo più à la page di qualche eccentrico in gita sarebbe un errore. Perché non permetterebbe di capire quali orizzonti inaugurino i voli degli “space billionaires”: frontiere ben più utili per tutti, non solo per i 600 che hanno già comprato i prossimi voli di Virgin Galactic.
Turismo spaziale?
Cominciamo a chiamarlo con un nome più appropriato, per distinguere un orizzonte alla portata di qualche zio Paperone dallo sfruttamento commerciale delle missioni vicino alla Terra. Oggi è nello spazio che si scrive il nostro destino. È attraverso lo sviluppo delle tecnologie orbitanti che vengono offerti servizi innovativi all’agricoltura, al monitoraggio delle infrastrutture, all’osservazione dei cambiamenti climatici e dei disastri ambientali. Se non ci fosse lo spazio, Internet sarebbe diverso. La app con cui raggiungiamo quel ristorante sulla bocca di tutti, senza lo spazio, non funzionerebbe.
Lo spazio è strategico
Per questo rendere lo spazio sempre più accessibile ha un valore epocale. Perché se fino a pochi anni fa operare in orbita era appannaggio di governi o giganti industriali, oggi Richard Branson, Jeff Bezos ed Elon Musk – che con la sua SpaceX sta preparando il primo volo orbitale, e non suborbitale, per privati e che ha già venduto una gita attorno alla Luna al fondatore di Zozotown, Yusaku Maezawa – promettono a università, laboratori e aziende esperimenti scientifici in assenza di peso senza coinvolgere risorse e tempi pantagruelici. È un idillio? Tutt’altro: lo spazio è anche strategico, rivela la potenza di chi riesce a conquistarlo.
In quest’ottica andrebbe interpretato anche l’annuncio del soggiorno di Tom Cruise sulla Stazione spaziale internazionale, dove nel 2022 l’attore girerà un film. Il primo in assenza di peso? No, o almeno non più, visto che pochi giorni fa si è saputo che il 5 ottobre la star russa Yulia Peresild anticiperà “Top Gun” Tom sulla Stazione per girare il proprio live action movie. Il film, il cui titolo provvisorio è La sfida, sarà coprodotto da Dmitry Rogozin, il direttore generale dell’agenzia spaziale russa. Dura ignorare il sottotesto politico di quest’altra sfida. Quindi no, quando anche Bezos e Cruise saranno nello spazio e quando un cittadino qualunque potrà permettersi di scrivere una lettera come Jenny ed Edward, non sarà solo turismo spaziale.