Tutto esaurito, sold out, ma non si parla di abiti in saldo, bensì di cibi “scaduti”, venduti in supermercati a prezzi ribassati anche del 30/50%. È quanto accade in alcuni paesi del nord Europa, come la Gran Bretagna, dove sta avendo molto successo la catena Co-Op, una cooperativa inglese che conta 4 milioni di soci e che punta sulla vendita di prodotti che normalmente sarebbero destinati al ritiro dagli scaffali (e dunque ad essere buttati), perché con date di scadenza già superate, anche se ancora commestibili. Si tratta soprattutto di prodotti in scatola, come pasta o legumi, ma non mancano altri alimenti con confezioni danneggiate o frutta e verdura che, nonostante si presentino non “perfette” o con ammaccature, sono ancora buone da mangiare.
Anche in Danimarca è presente WeFood, che segue lo stesso principio, mentre negli Stati Uniti aveva fatto il suo debutto già due anni e mezzo fa The Daily Table, una serie di negozi di cibo low cost, anch’esso commercializzato prima di diventare rifiuto alimentare. E in Italia? “Nel nostro Paese non esistono esperienze del genere, ma sono molti i supermercati che vendono anche a metà prezzo prodotti a ridosso della data di scadenza, che magari hanno solo uno o due giorni di vita” spiega a Donna Moderna Luca Farasconi, co-fondatore di Last Minute Market (che affianca le aziende nel recupero delle eccedenze alimentari a favore di enti no profit) e responsabile del progetto Reduce*.
Come funzionano i supermercati low cost
Se tra i big della Grande Distribuzione figurano moltissimi discount, da qualche tempo all’estero sono comparsi nuovi punti vendita che permettono il risparmio offrendo prodotti biologici a prezzi stracciati semplicemente perché “scaduti” o perché invenduti per questioni estetiche. In Danimarca WeFood è nato grazie a un’organizzazione non governativa, i cui volontari si occupano di raccogliere cibo in eccedenza dalle grandi catene o aziende, da distribuire poi sottocosto in appositi negozi. Grazie a queste iniziative e alla sensibilizzazione dei cittadini nei confronti dello spreco, i rifiuti alimentari si sono ridotti del 25% in cinque anni. In Francia da un anno è in vigore una legge che vieta ai grandi distributori di buttare generi alimentati invenduti, che devono invece essere destinati a fasce più deboli o enti di beneficenza. In Italia è stata approvata nell’autunno del 2016 un’apposita normativa che consente di cedere gratuitamente le eccedenze alimentari anche oltre il termine minimo di conservazione, purché siano garantite l’integrità dell’imballaggio e condizioni di conservazione idonee: in questo caso le eccedenze alimentari sono proprio i prodotti che rimangono invenduti per questioni di packaging (confezioni rovinate), commerciali o con scadenza ravvicinata, ma che mantengono i requisiti di igiene e sicurezza.
Perché in Italia non funziona
“I prodotti invenduti e a scadenza nei supermercati italiani sono pochissimi, qualche decina al giorno” spiega Farasconi: risulterebbe dunque complicato e dispendioso organizzarne una raccolta per destinarli alla vendita su un secondo circuito. “Questo, purtroppo, non significa che non ci siano sprechi, ma le grandi catene possono contate sul sistema del reso: i prodotti prossimi a scadenza o con problemi di packaging vengono restituiti al produttore, in cambio di altri nuovi, integri e freschi, per cui la grande distribuzione ottiene un cambio alla pari. C’è comunque un secondo aspetto da non trascurare: buona parte dei punti vendita ha attivato progetti di recupero che permettono di donare le eccedenze, senza sprechi e ottenendo un ritorno di immagine positivo per la catena” conclude l’esperto.
Come leggere le etichette
Ma come capire se un prodotto è ancora buono da mangiare? Occorre saper leggere le date di scadenza sui prodotti in vendita. “E’ bene chiarire che esiste una importante differenza tra la Data di scadenza e il Termine minimo di conservazione” spiega il dottor Dario De Medici, primo ricercatore al Dipartimento di Sicurezza Alimentare dell’Istituto Superiore di Sanità. “La data di scadenza è indicata con la dicitura “Da consumarsi entro il…” e si trova in alimenti che hanno una vita relativamente breve, come nel caso di latte, latticini, formaggi freschi, pasta fresca, carni fresche e prodotti della pesca o dell’acquacoltura. Per questi cibi l’indicazione è perentoria e quindi devono essere consumati nei termini riportati.
Nel caso dell’indicazione del tempo minimo di conservazione, dove sulla confezione si legge “Da consumarsi preferibilmente entro…” siamo in presenza di prodotti con un vita più lunga, che conservano le loro proprietà organolettiche originali fino alla data indicata e successivamente cominciano a perderle in modo graduale, senza che questo comporti problemi sanitari. Ci sono infine prodotti per i quali non viene richiesta una data di scadenza o un tempo minimo di conservazione: tra questi possiamo ricordare i vini, bevande con contenuto di alcol in volume al 10% (come le grappe), aceti, sale da cucina, zuccheri allo stato solido, prodotti di confetteria (come caramelle, confetti, ecc. che sono composti da zuccheri aromatizzati), gomme da masticare. Sono esenti dal riportare un tempo minimo di conservazione anche i prodotti di panetteria e pasticceria freschi, per i quali la consuetudine al consumo avviene generalmente nell’arco delle 24 ore” spiega l’esperto.
I prodotti congelati
Un discorso a parte va fatto per i prodotti in commercio congelati o per quelli preparati dal consumatore e conservati in freezer. “Se si tratta di cibi confezionati e già etichettati, il consiglio è quello di rispettare il tempo minimo di conservazione (“Da consumarsi entro il…”, NdR) con un po’ di elasticità: insomma, non vanno buttati il giorno dopo la data indicata sull’involucro – spiega il Dottor De Medici – Se invece gli alimenti vengono comprati freschi e congelati, è sempre bene non lasciarli in freezer troppo a lungo, etichettandoli con la data di preparazione, così da rispettare la regola generale che vuole che l’alimento che prima entra, prima esce, evitando conservazioni troppo lunghe”.
Quanto ai prodotti di quarta gamma, come le insalate pronte in busta, che hanno vita commerciale di non più di una settimana “devono essere conservate a temperature inferiori agli 8°C e una volta aperte devono essere consumate entro 48 ore. Per questi vegetali la legislazione italiana rappresenta un’unicità in Europa data l’attenzione particolare che il nostro Paese rivolge alla tematica della sicurezza alimentare”.
Acquistare prodotti in scadenza è sicuro?
“Nessun esercizio in Italia può vendere prodotti oltre la data di scadenza. Alcuni negozi vendono alimenti prossimi alla scadenza a prezzi favorevoli” spiega il Dottor De Medici. Naturalmente è importante rispettare le regole di buona conservazione degli alimenti, indicate da diverse catene tra le quali la Coop, per evitare il rischio di deterioramento dei cibi con il proliferare di batteri e muffe, che possono nuocere gravemente alla salute. Tra le indicazioni più importanti ci sono quelle che riguardano la temperatura: nel frigo deve oscillare tra i +2 e +5°C, nel congelatore occorrerebbe mantenere i -18°C, mentre per “conservare in luogo fresco” si intende in genere una temperatura non superiore ai 15°C. “Va però sottolineato che sarebbe importante fare la spesa con maggior raziocinio, comprando gli alimenti in quantità tale da consumarli prima della data di scadenza o del termine minimo di conservazione. In questo modo non solo si eviterebbero rischi sanitari, ma si ridurrebbero gli sprechi alimentari” conclude il ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità.
Last Minute Market
Capofila nel campo della lotta allo spreco e nel recupero delle eccedenze alimentari è Last Minute Market, nato nel 2003 e il cui marchio è diventato oggi una realtà imprenditoriale, che opera su tutto il territorio nazionale, con progetti e servizi rivolti ad aziende, cittadini, istituzioni (come scuole e ospedali) e operatori del terzo settore. Ad esempio, è socio di MasterChef Italia, permettendo che tutto il cibo inutilizzato durante la registrazione del programma sia recuperato e donato all’Opera Cardinal Ferrari di Milano.
Più risparmio e meno spreco
L’idea di poter acquistare prodotti a prezzi vantaggiosi, senza perdere in qualità e sicurezza alimentare, ha anche lo scopo di ridurre gli sprechi alimentari, che solo in Italia ammontano ogni anno a 15,5 miliardi di euro, secondo la campagna Zero Spreco 2017/2018: si tratta di un’iniziativa, nata nel 2010, che per la prima volta in Italia ha indagato e continua a monitorare in modo preciso e puntuale lo spreco alimentare nella Grande Distribuzione, nelle refezioni scolastiche e in ambiente domestico. Lo scopo della campagna, i cui risultati saranno resi noti a febbraio del 2018, è di rafforzare le azioni di prevenzione e riduzione dei rifiuti alimentari, con iniziative di sensibilizzazione ed educazione nelle scuole primarie, fornendo anche un valido supporto al legislatore, per mettere a punto norme ad hoc contro gli sprechi.