Dopo due anni di attesa, tutto sembra essere pronto per l’arrivo di Uniqlo – la popolare catena di fast fashion giapponese – in Italia. L’appuntamento, più volte rimandato, è per il 13 settembre 2019 in piazza Cordusio, nella piazza di Milano a metà strada tra Piazza del Duomo e il Castello Sforzesco che già ospita la roastery di Starbucks.
Da poco più di un mese in Italia i capi delle collezioni Uniqlo – che sono conosciuti in tutto il mondo per il mezzo cachemire a buon prezzo e le linee semplici ed eleganti – sono facilmente acquistabili online grazie all’apertura dell’e-commerce italiano, mentre prima gli ordini arrivavano dal quartier generale europeo di Londra. Il negozio milanese avrà a disposizione ben 1500 metri quadri in uno splendido palazzo d’epoca, che ospiterà le collezioni uomo, donna e bambino.
Da dove viene Uniqlo
Uniqlo (che sta per Unique Clothing Warehouse, ovvero “fabbrica di capi d’abbigliamento unici”) ha alle spalle una lunga storia. Viene fondato infatti nel 1949 dall’imprenditore Hitoshi Yanai nella città industriale di Ube e inizialmente si chiama Ogōri Shōji. Alla morte di Hitoshi, nel 1972, la piccola azienda tessile a conduzione familiare viene ereditata dal figlio Tadashi, un arrivo che non viene gradito dal consiglio d’amministrazione dell’epoca, che in buona parte si dimette. Nel 1984 Tadashi diventa Amministratore delegato e cambia il nome in Uniqlo, in concomitanza con l’apertura del primo negozio a Hiroshima: ne aprirà altri 300 entro il 1998.
A metà degli anni Novanta, il marchio attraversa una fase difficile e Tadashi decide per una furba strategia di riposizionamento, ispirato anche da un viaggio in Occidente dove rimane colpito da Benetton e GAP, antesigani del fast-fashion. Come segnala Il Sole 24 Ore, «Oggi Tadashi è l’uomo più ricco del Giappone, con un patrimonio stimato di 24,8 miliardi di dollari ed è presidente di Fast Retailing, la società quotata alla Borsa di Tokyo che controlla Uniqlo. Le previsioni per il 2019 sono di arrivare a 2.300 miliardi di yen (18,32 miliardi di euro) di ricavi e 3.641 negozi nel mondo».
Quello che era percepito inizialmente come un marchio di abbigliamento a basso costo, diventa una linea di “casualwear” che offre invece capi di buona fattura a prezzi competitivi. All’inizio fatica ad affermarsi, ma complice un nuovo negozio a Shibuya, che puntava ad attrarre una clientela più sofisticata, e un modello particolarmente fortunato di giacca (ancora oggi uno dei best-seller del marchio), Uniqlo compie definitivamente il passaggio da brand senza identità a sinonimo di design pulito e stile senza tempo.
A chi piacerà
Chi è allora il cliente ideale di Uniqlo? Sicuramente chi ama i capi semplici e funzionali e non vuole spendere troppo. Il marchio, infatti, ha fatto del maglioncino blu il suo portabandiera più riconoscibile: lo hanno sfoggiato orgogliosamente – contribuendo così a regalare loro un’aria raffinata – anche stilisti famosi come Phoebe Philo (che ha disegnato Céline dal 2008 al 2017) e Jonathan Anderson (il designer di Loewe e J.W. Anderson).
Oggi Uniqlo piace a tutte le età ma è particolarmente amato dai Millennial, ovvero i giovani adulti nati tra il 1980 e il 1995, come ha segnalato l’Atlantic in un recente approfondimento. Il marchio, infatti, è riuscito a posizionarsi come la scelta più ovvia per chi vuole un guardaroba versatile e di media qualità, anche grazie a scelte oculate come le collaborazioni con Christophe Lemaire – sofisticato stilista francese – e la socialite Inès de la Fressange, che hanno creato collezioni funzionali e abbordabili.
Uniqlo è anche entrato nel campo delle sponsorizzazioni sportive – primo fra tutti quella del tennista svizzero Roger Federer – dove compete con i giganti dell’abbigliamento sportivo come adidas, Nike e Puma fra gli altri. Tadashi Yanai vuole costruire un marchio sempre più globale e lo sbarco in Italia, la patria del ready to wear di qualità, è uno dei tanti step per conquistare il difficile mercato europeo.