Chi frequenta i social la conosce come ispiratrice delle influencer, bravissima comunicatrice, imprenditrice digitale. Una che sa giostrarsi nel mondo della reputazione e del marketing. Difficile però dare una definizione univoca a Veronica Benini, detta @Spora (e sul motivo per cui si chiama così ci torneremo): è una donna che nella sua vita ha svoltato più e più volte, è caduta e si è rialzata, ha cambiato progetti, Paesi, mariti e case, ha mollato una carriera per iniziarne un’altra. E ha vissuto a lungo dentro a un furgone camperato, soprannominato Lucio.

La sua storia sembra la trama di un film. E adesso è un libro, La vita inizia dove finisce il divano (De Agostini), in cui Veronica racconta di peripezie, cadute e rinascite dal 2006 a oggi. «Una “vita da telenovela”, anche perché sono per metà italiana, da una vecchia famiglia toscana, e per metà argentina. Mio nonno era sposato con una contessa ma non poteva divorziare, così nel 1947 è scappato con la tata in Sud America. E con lei ci ha fatto mio padre».

Dopo l’Argentina dove ha abitato per 14 anni, è arrivata l’Italia dove ha studiato e poi la Francia, Parigi, dove ha avuto una carriera super come architetta in uno studio di ingegneri. In quel periodo, era il 2012, ha fondato la Stiletto Academy: insegnava alle donne a camminare sui tacchi come gesto di affermazione e autostima. Si era licenziata e aveva scelto di fare la freelance. Oggi è un’altra storia: «Sono una strategist, insegno alle piccole imprenditrici, o a chi vuole iniziare, a lanciare il proprio business sfruttando la componente online». Un lavoro fatto one-to-one oppure online tramite una piattaforma.

“Stay strana, stay figa. Il mondo è di chi spinge” recita il sito della sua società. «La comunicazione è importante» spiega. «Se uno comunica bene, poi vende anche meglio, soprattutto oggi nell’era dei social, dove, non si può far vedere tutto. Devi essere quella che fa qualcosa, associata a una sola tematica, perché se sei troppo dispersiva la gente non capisce».

Per anni è stata “quella dei tacchi”

«Ho dovuto lavorare a lungo per fare in modo di non essere sempre associata a questa immagine. Ora sono La Spora, punto. Se vuoi, quella del furgone, delle 9 Muse…». Le 9 Muse è un progetto in cui 9 donne raccontano la propria vita e la propria esperienza su un palco. Il prossimo appuntamento è il 16 novembre. «Tutto è nato perché mi sono accorta che molte ragazze che mi seguivano sui social volevano sentire altre storie. Sono discorsi di ispirazione, mirati e semplici, di donne che hanno avuto dei problemi e sono ripartite. Per stimolare e dire: “Cavolo! Se l’ha fatto lei potrei farcela anche io”».

Al centro di tutta la sua attività ci sono le donne

«La verità è che io insegno loro a essere indipendenti, anche economicamente, che è il primo passo. Sai in quante non divorziano perché non riescono a mantenersi?». Poi c’è anche la possibilità di realizzare il proprio sogno. «Sempre con i piedi per terra, però, perché non è detto che se hai un’idea geniale di sicuro funzioni. Le variabili sono tante: magari il mercato non è pronto o non hai le doti giuste».

La novità, mi spiega, è che «rispetto al passato dove ci bastava trovare un lavoro, oggi possiamo arrogarci il diritto di trovare un lavoro intorno alle nostre passioni. È una prerogativa dei Millennial e della Generazione Z, però cominciano a pensarla così anche le donne che lavorano da tanto. Come me, che ho 43 anni». Il prossimo step è una fondazione, che dovrebbe diventare attiva nel 2020, nata per dare alle piccole imprenditrici, anche over 50, tutti gli strumenti di cui hanno bisogno.

«E superare i primi 2 anni, che è il vero problema in Italia». E poi? Se questo mondo del digitale e dei social dovesse sparire? «Io di base “sopravvivente”, mi sono sempre data da fare. Ho anche venduto dolci sulla spiaggia in bicicletta. Sono curiosa, sempre ad armeggiare, non escludo di toccare di nuovo il fondo e ricominciarmi ancora, come scrivo alla fine del libro». Quindi Spora viene da… «È un soprannome che mi ha dato un’amica greca ai tempi dell’università: nello slang parlato si attribuisce ai bambini iperattivi. Mi sembrava il nome più adatto, no?».