Sono un maschio adulto, e l’ultima volta che ho pianto è stata per un videogioco: Red Dead Redemption II. Il protagonista Arthur, che durante la quarantena avevo accompagnato nelle praterie del West ad assaltare treni, rapinare banche e cercare un senso alla sua vita, si lascia cadere sulla panchina di una stazione, guarda il tramonto con gli occhi lucidi, la faccia consumata dalla tubercolosi. E si confida con una suora che aspetta il treno: «Sto morendo, sorella. E la verità è che ho paura». Per farmi piangere si sono messe d’impegno circa 2.000 persone: sceneggiatori, direttori creativi, grafici, musicisti. Addetti ai lavori di un mercato il cui giro d’affari toccherà 160 miliardi di dollari nel 2020, con una crescita annuale del 9% favorita dal lockdown.
I videogames costituiscono il prodotto culturale più popolare del nostro millennio
Storie complesse e raffinate come quelle di Arthur hanno contribuito a rendere i videogames i prodotti culturali più popolari del millennio. Sempre più emozionanti e interattivi. Pensati per essere giocati online, con persone collegate dall’altra parte del mondo e personaggi ricchi di sfumature psicologiche. Anche per questo l’età media degli utenti è salita, toccando quota 34 anni.
E le piattaforme classiche sono diventate qualcosa di più: un non-luogo vivissimo, in cui si incrociano tutti gli aspetti della vita sociale, economica, politica. Prendete Animal Crossing: New Horizons, il nuovo capitolo del “life simulator” di Nintendo. Ogni giorno in milioni si connettono, creano il loro personaggio che si è appena trasferito su un’isola e iniziano a costruirsi una vita virtuale. Arredano casa, fanno il bagno, incontrano altre persone (o meglio, avatar di altre persone). Non ci sono la competizione e l’adrenalina tipica degli sparatutto, eppure è uno dei giochi più venduti.
«È un’ipotesi politica di come potrebbe funzionare un mondo alternativo, dove non esiste il fallimento» ha spiegato il game designer Ian Bogost. C’è perfino chi durante la quarantena vi ha celebrato le nozze, facendo sposare i propri avatar. Gli attivisti di Hong Kong hanno piantato bandiere con i loro slogan per la liberazione dalla Cina. E ora dagli Usa sono “entrati” Alexandria Ocasio-Cortez, che ha creato la sua isola, e Joe Biden: il candidato democratico alla Casa Bianca ha realizzato una serie di cartelli elettorali che gli utenti possono scaricare ed esporre nel proprio giardino virtuale, affinché siano visibili agli altri avatar. Marketing spiccio? No, un modo per stare tra i potenziali elettori.
I videogames ospitano concerti, partite di calcio e dibattiti politici
Del resto, il presidente Usa Donald Trump era già sbarcato su Twitch per trasmettere i suoi comizi. La piattaforma inizialmente ospitava solo le dirette delle sessioni di gioco dei videogamers: uno giocava, migliaia stavano a guardare cosa succedeva sul suo schermo. Poi Amazon l’ha acquistata, al costo di 1 miliardo di dollari, per farne qualcosa di più: la piattaforma di streaming del mondo intero.
Una gigantesca tv interattiva, in cui parlare di videogiochi come di politica, di moto come di ricette di cucina. Dove guadare una performance del deejay Steve Aoki da Ibiza, ascoltare nuovi podcast, seguire corsi di software o commentare con altri tifosi le partite di calcio della Premier League inglese. Fatturato nel 2019: 1,5 miliardi di dollari. Crescita nel 2020: +101%. Permanenza media: 95 minuti a utente.
I numeri della piattaforma Twitch sono da brivido. Fatturato 2019: 1,5 miliardi di dollari. Crescita nel 2020: +101%. Permanenza media: 95 minuti a utente
I videogames permettono di dialogare con la Generazione Z
Il dato, impressionante, contrasta con le classiche narrazioni sulla bassa soglia di attenzione della Generazione Z, ovvero i ragazzi tra 18 e 24 anni, e solletica gli appetiti dei grandi marchi a caccia di un pubblico giovane. «Devi raggiungere un target che non guarda la tv, non legge molto e magari ha installato sul computer l’adblock, il software che blocca le pubblicità» dice Stefano Silvestri, direttore del portale Eurogamer.it e responsabile della sezione Esports della Gazzetta dello Sport. «Cosa fai? Vai nei posti in cui si trovano quei ragazzi: le piattaforme di videogiochi». Alcuni brand internazionali, come Red Bull, organizzano direttamente tornei di e-sports. Altri, come Spotify o Toyota, avviano sponsorship a lunga durata degli eventi. Altri ancora, come Armani Jeans, sponsorizzano le divise delle squadre di videogamers.
La piattaforma forse più promettente e ambiziosa è Fortnite. Nata come videogioco online in cui 100 persone collegate da ogni parte del mondo piombano su un’isola e devono combattere tra di loro finché ne resterà soltanto uno, ha iniziato a ospitare altri tipi di appuntamenti. Qui il rapper Travis Scott ha tenuto un concerto con 12 milioni di partecipanti virtuali. Qui Christopher Nolan ha mostrato in anteprima il trailer del suo nuovo film Tenet. «L’ambizione è diventare un metaverso» nota Silvestri. «Un universo parallelo in cui ogni persona ha il suo avatar. Attraverso di esso conosce altre persone, consuma prodotti culturali, condivide esperienze, acquista prodotti che poi gli arriveranno a casa». E, sì, può anche imbattersi nell’avatar del futuro uomo più potente del mondo.