Nell’ultimo film di Ethan Coen, Drive-Away Dolls, ora nelle sale, l’irresistibile Margaret Qualley, completamente nuda, indossa solo un paio di stivali da cowboy, di quelli texani con tacco e punta. E con gli stivali addosso va a letto con l’amica timida e indecisa. La scena ricorda un altro paio di stivali, quelli dell’allora sconosciuto Brad Pitt in Thelma & Louise, con tanto di cappello bianco da cowboy in testa.
Il western nei film, da Thelma & Louise a Drive-Away Dolls
Dal 1991, data di uscita del film di Ridley Scott, a oggi, marzo 2024, son passati più di 30 anni, ma il cowboy look funziona sempre nello stesso modo: suggerisce sesso, libertà, movimento on the road, spazi illimitati, frontiera, più una buona dose di scanzonata ribalderia. Con la differenza che nel primo film era un magnifico uomo a significare tutto ciò, oggi una magnifica donna dagli occhi blu. Nell’esilarante mishmash di questa commedia femminile Ethan Coen lo butta là, quel paio di stivali, quasi a strizzare l’occhio: «Vi ricordate? Avete presente? Funziona il cortocircuito?». Ora però a indossarli e a fare sesso con tanta spregiudicata nonchalance è una ragazza. E con esiti diametralmente opposti: il salto di Thelma & Louise era nel vuoto, quello di Drive-Away Dolls plana su un mondo di empowerment femminile, spensierato amore e sesso tra donne.
I cowboy nei titoli del post western
In mezzo a quelle due date c’è tutto il post western, con titoli come Il potere del cane di Jane Campion, con un inquietante Benedict Cumberbatch in speroni, frusta e stivali, Strange way of life di Pedro Almodóvar, Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese. Certo, sempre cowboy sono, ma non più eroici cavalieri della valle solitaria, bensì uomini «prigionieri di ambiguità morali e crisi esistenziali che rispecchiano la complessità di una realtà difficile, dove non è più netta la divisione tra buoni e cattivi», come scriveva il critico cinematografico Roger Ebert. Senza dimenticare le tante serie di successo, come il crepuscolare Yellowstone, con un corpulento Kevin Costner tra mandrie, fiumi di whisky ed eredità terriere, o 1923, dove Helen Mirren imbraccia il fucile e non scherza per niente.
Il ritorno del western, anche in libreria
Anche se il funerale è stato celebrato svariate volte, il western torna sempre sottotraccia, rianimandosi di infinite vite. Sullo schermo, nella moda, nella musica, in libreria. Non sarà un caso se l’editore Gremese pubblica proprio ora il bel saggio di Piero Spila Johnny Guitar di Nicholas Ray, analisi del film che, nell’America maccartista, rivoluzionò i cliché del genere mettendo al centro della storia una donna. Era il 1954 e Nicholas Ray girava un western dal lirismo sfrenato con protagonista Vienna, una Joan Crawford che, diceva l’attrice, «pensa e agisce come un uomo», donna da saloon, ma anche pistolera che, in un fantastico duello finale, uccide la sua rivale. Roba mai vista prima sullo schermo. Un universo dalle atmosfere oniriche e freudiane: il saloon scavato nella roccia, l’enorme lampadario, i vestiti leggendari (quel fazzoletto al collo su camicie rosse, gialle, azzurre o su mises tutte in nero), le passioni di Vienna, i suoi sogni parossistici e la malinconia del suo antico amore, Johnny Guitar, di fronte a un mondo in declino.
L’immaginario dell’Ovest americano
Quello stesso mondo che Dorothy M. Johnson, scrittrice del Montana con un’aria da tranquilla casalinga, raccontava all’inizio del secolo scorso. È davvero incredibile scoprire, grazie alla ripubblicazione fatta in questi giorni dall’editore Mattioli 1885, che questa signora, autrice di 17 romanzi, ha contribuito a forgiare il moderno immaginario dell’Ovest americano con racconti dai titoli che conosciamo grazie al cinema. Come L’uomo che uccise Liberty Valance, portato sullo schermo da John Ford nel 1962 con John Wayne e James Stewart. Il massimo a disposizione per l’immagine dell’uomo rude, forte e onesto, sebbene la Johnson non amasse la formula del cowboy invincibile: preferiva farne intravedere anche la parte più fragile, le paure, i dubbi, le inquietudini, i misfatti da nascondere. Come in L’albero degli impiccati, ambientato tra i cercatori d’oro e portato sullo schermo nel 1959 da Dalmer Daves con un grande Gary Cooper. O in Un uomo chiamato cavallo (1970, regia di Elliot Silverstein), che sul manifesto del film mostrava Richard Harris legato al palo dai Sioux. Lo scontro/incontro tra le due culture era uno dei temi prediletti di Johnson, molto rispettosa nei confronti delle culture dei nativi americani.
Estetica western e scena pop
Insomma, il mito della frontiera americana, delle carovane, delle piste nella polvere, dei cowboy e delle donne che imbracciavano il fucile – ne hanno scritto anche la giornalista e saggista americana Joan Didion in pagine memorabili nel memoir Da dove vengo e, inaspettatamente, persino Alessandro Baricco in Abel, storia d’amore – non muore mai. Più che altro si trasforma, aiutato anche dal legame tra estetica western e scena pop. Dopo Nancy Sinatra e Cher, nel 2000 Madonna sposava lo stile rodeo in Don’t tell me: cinturone sui fianchi, stivali texani con punta metallica e blue jeans, ballava sulla sabbia del deserto. Lana Del Rey, nel video Ride del 2012, indossava un capricapo da nativo americano, i soliti stivali e shorts di jeans a cavallo di una motocicletta cantando in tono suadente: «Voglio vivere libera».
Dua Lipa, solo due anni fa, in Love Again, era una sexy cowgirl elettrica su un bufalo meccanico. E nel video è chiara la citazione di Clark Gable che cerca di domare alcuni cavalli nel film di John Huston Gli spostati. Lì c’era anche Marilyn Monroe che, di fronte al puledro legato per essere venduto e ucciso, si volta, fugge sconvolta e in campo lungo urla: «Bugiardi! Siete tutti bugiardi e violenti, voi uomini… Vi odio!». Una dichiarazione disperata, carica di dolore femminile. Era il 1961. Ci sono voluti decenni prima che Margaret Qualley in Drive-Away Dolls di quegli uomini duri e tutti di un pezzo riuscisse a farsi beffe.
Lo stile cowboy nella moda, un po’ kitsch e un po’ empowering
Nella moda lo stile cowboy è una costante. Con quella sua anima un po’ kitsch, ha lo stesso effetto di un romanzo rosa dopo mesi di letture impegnate, di una serie demenziale in mezzo a filmoni da Oscar. Serve per ricordarci che ogni tanto è necessario prendersi meno sul serio, alleggerire i pensieri, sentirsi toste ma con un pizzico di ironia. Anche se si sta andando in ufficio, perché le mises da conquista del West sono anche simbolo di empowerment e resilienza in un mondo che mette a dura prova.
Il cowboycore consacrato da Pharrel Williams e Beyoncé
Forse non è un caso che il Cowboycore (detto alla maniera dei social) stia tornando alla ribalta con più decisione. Lo hanno consacrato come trend fortissimo due miti musicali e modaioli, Pharrel Williams e Beyoncé. Lui, ora direttore creativo di Louis Vuitton Uomo, per l’inverno 2024-25 ha esplorato il West americano in lungo e in largo. Lei, Queen Bee, si è presentata ai Grammy con un sexy completo cowgirl style firmato Vuitton. E, durante il Superbowl, ha lanciato due nuovi brani country: non osiamo immaginare che epopea di outfit abbia in serbo per il tour.
Wild West Show: texani ai piedi!
Le fashioniste più attente, però, si erano già accorte, lo scorso maggio a Cannes, che qualcosa andava verso Ovest quando la società di produzione cinematografica Saint Laurent Productions aveva presentato il corto western di Almodóvar, Strange way of life, per il quale Anthony Vaccarello ha firmato anche i costumi. E, prima ancora, quando nel 2022 circolavano le prime foto dal set di Barbie, con lei e Ken in zuccherosi completi da rodeo.
Così non stupisce che per l’estate e per il prossimo inverno molti brand di moda (oltre a Ralph Lauren che lo fa da sempre) abbiano lavorato sodo per rielaborare lo stile da cowboy in chiave contemporanea. Sostituiremo il blazer con giacche tutte una frangia? Metteremo la bolo tie sulla pelle nuda? Abbineremo lo Stetson all’abito da sera? Infileremo i texani sotto il little black dress? Starà a noi imparare a dosare con gusto e misura, prendendo uno o due elementi di questo wild mood. E lasciando all’inimitabile Dolly Parton la libertà di osare con tutto il resto.