La storia di Alessia Piperno
Il 28 settembre è una data memorabile per Alessia Piperno, e non solo perché è il suo 31esimo compleanno. È il giorno in cui, nel 2022, è stata arrestata in Iran. Il primo di 45, infiniti, trascorsi nel carcere di Evin, a Teheran, con l’accusa di essere una spia, tra attiviste politiche e donne che avevano semplicemente protestato per la morte di Mahsa Amini, incarcerata perché non indossava correttamente il velo. A un anno esatto, esce nelle librerie il racconto della viaggiatrice romana, che ha attraversato il Paese mentre esplodevano le proteste contro il regime degli ayatollah ostile alle donne. Azadi! – Un diario di viaggio, prigionia e libertà (Mondadori) ci porta nelle sue esplorazioni e nella cella dove è stata rinchiusa senza un perché.
Il racconto della vita in carcere
Una coperta sul pavimento come letto, una doccia alla settimana, 5 minuti il martedì e il giovedì per respirare l’aria di un cortile angusto, una turca puzzolente per bagno. E le grida continue di altre donne, probabilmente torturate, che urlavano “Azadi!”, libertà in farsi. «Il primo pensiero, il più lacerante, era per mia madre e la mia famiglia, che non sapevano dove fossi. L’ultima volta li avevo sentiti per gli auguri» racconta Alessia Piperno. I 72.400 follower di Instagram l’avevano vista girare gioiosa tra moschee e bazar, festeggiare i suoi 30 anni con altri viaggiatori. Sono stati arrestati poco dopo e uno di loro, Louis, francese, è lì ancora oggi. Dopo il 10 novembre, giorno della liberazione, Alessia per mesi è quasi sparita dai social. «Scrivere il libro mi ha aiutato a elaborare il trauma. Ci ho messo tanto, e per mia madre è stato forse ancora più difficile che per me». Un rapporto strettissimo, il loro, oggi ancora di più. Alessia Piperno e Manuela Sermoneta hanno accettato di raccontarlo a Donna Moderna. «La vita è tornata ad avere un senso» dice Manuela, titolare insieme al marito di una cartoleria a Roma.
L’intervista
Il 28 settembre 2022 vi eravate sentite per gli auguri. Poi?
Alessia: «Dissi ai miei che ero in una zona tranquilla di Teheran a festeggiare con gli amici. Ci hanno arrestati quella sera, mi pareva impossibile perché non avevamo partecipato alle proteste. Quando mi hanno dato una divisa e messo in cella, ho iniziato a disperarmi soprattutto per i miei (oltre ai genitori, il fratello minore David e i nonni, ndr). Ho picchiato i pugni alla porta per ore, gridando che ero solo una viaggiatrice e volevo chiamare mia madre. Ci sono voluti quattro giorni perché potessi dirle che ero in prigione».
Manuela: «Dopo gli auguri le avevo inviato un vocale solo mio, rimasto inascoltato per giorni. Mi sembrava di impazzire. Poi è arrivata la chiamata che ci ha catapultati nell’inferno, in un dolore da togliere il respiro».
Nel libro Alessia racconta quante volte, nei 45 giorni di prigionia, il pensiero sia andato a sua madre. Momenti di disperazione o anche di conforto?
Alessia: «Mi tormentava l’idea di non parlare con lei, a parte quella telefonata veloce me l’hanno concesso solo quando ho fatto lo sciopero della fame. In cella avevo creato una mano di carta, con dei fazzoletti a forma di dita imbevuti di acqua e dentifricio. Per me era la mano di mamma, mi faceva sentire meno sola. Il giorno del suo compleanno, una compagna mi ha dato un foglio di carta strappato da un libro e con una penna che avevo nascosto le ho scritto una lettera, anche se non potevo fargliela avere. Oggi è lei che conserva la mano di carta, ce l’avevo addosso il giorno che sono uscita».
Il 10 novembre è stata liberata con la mediazione della Farnesina e dei servizi segreti. Emozioni?
Manuela: «Dopo 45 angosciosi e interminabili giorni, è stato come se Alessia fosse nata di nuovo. Oggi posso dire c’è fra noi un filo invisibile che nessuno può spezzare».
Alessia era avventurosa già da bambina?
Alessia: «Portavo a casa rane e coccinelle. Raccoglievo legni per costruire casette sugli alberi e per i genitori dei miei amici ero quella che inventava giochi pericolosi».
Manuela: «È sempre stata una bambina curiosa, amante della natura, pure degli animali che fanno inorridire quasi tutti. Per soddisfare la sua sete di conoscenze, l’abbiamo mandata all’estero per le vacanze studio e per la quarta liceo negli Stati Uniti».
Quando ha deciso di girare il mondo, lavorando nei Paesi che visitava o come travel planner?
Alessia: «A 23 anni, visto che mi incuriosiva molto l’Australia, ho preso un biglietto di sola andata:
ci sono rimasta per 2 anni, lavoravo e giravo. Da allora ho attraversato oltre 50 Paesi, tornando a casa soprattutto a Natale».
Manuela: «Quella scelta fu traumatica per me, non sapevo quando l’avrei rivista. Ed è stato solo il primo di tanti viaggi, ogni volta il distacco era doloroso, ma il suo entusiasmo per la nuova avventura e i suoi occhi gioiosi mi dicevano che era giusto così, che la sua felicità contava più delle mie paure».
Quest’estate Alessia ha portato in viaggio anche lei e suo marito, in Perù.
Manuela: «È stato profondamente liberatorio! Alessia era l’adulto e noi i bambini. Ha organizzato tutto lei. Ci ha insegnato a muoverci con lo zaino in spalla, con pochi vestiti essenziali, piccoli oggetti utili alle emergenze. Spesso mi invitava a non scattare fotografie, dicendomi che la bellezza del mondo non si può sempre catturare ma si deve rimanere in silenzio ad ascoltarla. Ho voglia di ripartire con lei per una nuova avventura».
Tornare a viaggiare ora non le mette paura, Alessia?
Alessia: «No, al contrario. Ora non voglio sprecare un minuto della mia libertà. Vorrei fare qualcosa perché anche le iraniane possano viverla. Non viaggerò più l’intero anno, mi dedicherò di più alle persone che mi vogliono bene. Ho trovato brividi anche vicino a casa, iscrivendomi a un corso di paracadutismo. E forse, chissà, scriverò altre storie».
Manuela, con che spirito ha letto Azadi!?
Manuela: «Ho avuto la conferma che Alessia è diventata una donna coraggiosa, forte e leale. E io sono orgogliosa di essere sua madre».