Violenza di genere
Da Giulia Tramontano a Giulia Cecchettin, le tragedie del 2023 ci hanno fatto capire ancora di più quanto, oltre alle leggi, sia importante l’educazione. Parola di Martina Semenzato, presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio.
10 parole del 2024: Rispetto
I femminicidi sono un fenomeno strutturale. E noi ci siamo abituati alla violenza, quella di genere ma non solo. Per contrastarla, dovremmo riappropriarci di una parola in particolare tra le 10 parole del 2024: rispetto. Un concetto che si basa su un nuovo patto di corresponsabilità tra gli istituti principali della nostra società: famiglia, scuola e politica. Occorre ridefinire il ruolo dei genitori, che da amici devono tornare a essere una guida salda, decisa, amorevole: quello che serve oggi con i nostri ragazzi non è autorità, ma autorevolezza.
A scuola andrebbero insegnate l’educazione di genere e quella sentimentale, dall’asilo fino all’università. Personalmente non sono convinta che un’ora ad hoc, all’interno del programma, sia quello che serve. Troverei più giusto istituire un monte ore destinato al tema della parità di genere da suddividere fra le materie, in modo che ci sia una sensibilizzazione continua e organica. Ma sarebbe sbagliato fermarsi qui. In classe bisognerebbe anche insegnare a cogliere quei campanelli d’allarme che possono trasformarsi in violenza. Perché quasi il 20% delle ragazze oggi pensa che siano gesti d’amore il controllo dello smartphone o il divieto di uscire con le amiche. E, siccome 1 donna su 3 che subisce violenza non ha un conto in banca, è fondamentale insegnare a scuola anche l’educazione finanziaria, cosa che potrebbe diventare norma, con il disegno di legge sulla competitività.
E la politica? La parola rispetto è legata a doppio filo con un’altra molto, importante: lavoro. Di tutte le donne, ma in particolare di quelle maltrattate. Perché il lavoro dà autostima, rende libere. Gli strumenti sono le politiche di defiscalizzazione per le imprese che assumono queste donne, l’aumento del microcredito che serve per finanziare le loro idee e l’organizzazione capillare di corsi di formazione.
Economia
Dopo anni di austerity, potrebbe finalmente iniziare un nuovo ciclo di crescita. Ecco l’analisi di Azzurra Rinaldi, docente di Economia Politica all’Università Unitelma Sapienza di Roma e autrice di Le signore non parlano di soldi (Fabbri).
10 parole del 2024: Prosperità
Il nostro paese ha un problema: la bassa produttività che, come confermano studi di economia e neuroscienze, dipende in buona parte dal fatto che lavoriamo troppe ore. È assurdo avere turni istituiti 150 anni fa. Le soluzioni ci sono: in altri Paesi si inizia a ridurre la settimana lavorativa a parità di stipendio e questo porta a una migliore produttività. Altro tema tipicamente italiano è lo spreco di talenti, in particolare quelli dei giovani e delle donne. Abbiamo pochi giovani e molti di questi – il nostro migliore capitale umano – se ne vanno.
Per farli restare e valorizzarli bisogna offrire opportunità realizzando infrastrutture. Faccio un esempio: Milano e Lecce distano quasi lo stesso numero di chilometri da Roma, ma per raggiungere la Capitale da Lecce ci vuole il doppio del tempo che da Milano. Così è difficile restare a lavorare al Sud e promuoverne lo sviluppo. Con il Pnir, poi, tanti obiettivi sono stati rivisti al ribasso, pensiamo alla riduzione del numero di posti negli asili rispetto a quelli programmati, e questo è l’ennesimo spreco di risorse. Anche a livello europeo e mondiale veniamo da 4 anni complicati, caratterizzati dall’incertezza che gli economisti chiamano “variabile killer”: rende difficile fare previsioni e mettere in moto scelte razionali perché tutto cambia costantemente.
Se però non si presentano altre sfide inaspettate, il 2024 potrebbe essere l’anno in cui raccogliamo i frutti dopo una fase di austerity che ha visto l’economia contrarsi. Dovremmo vedere una maggiore stabilità e anche l’inizia di un nuovo ciclo espansivo. Servirebbe innescare una crescita sostenibile, che non è più quella che abbiamo vissuto con la globalizzazione. Finora ci siamo mossi secondo un approccio liberista neoclassico, che non contempla la responsabilità verso le persone e l’ambiente. Ora miriamo alla prosperità, che non è solo crescita economica ma benessere per tutti.
Ambiente
Alla Cop28 è stato raggiunto un accordo storico: zero emissioni di gas serra entro il 2050. E il 2024 sarà l’anno in cui entrerà nel vivo in Italia la transizione ecologica quanto mai necessaria per evitare il ripetersi di tragedie come le alluvioni degli ultimi mesi. Lo sottolinea Stefano Ciafani, ingegnere ambientale e presidente nazionale di Legambiente.
10 parole del 2024: Velocità
Nel 2024 in Italia la transizione economica entrerà nel vivo, perché si svilupperanno cantieri, idee e progetti su tanti fronti: dalla mobilità sostenibile alla rigenerazione urbana, all’innovazione industriale. Occorre passare da un approccio basato sull’economia lineare a uno fondato sull’economia circolare, per andare oltre le pratiche industriali che ci hanno portato ad avere grandi aree inquinate: basti pensare a Taranto, Piombino, Marghera…
Ancora oggi otteniamo il 55% dell’elettricità dal gas, ma continuerà la diffusione di impianti a fonti rinnovabili, a partire da quelli fotovoltaici ed eolici, per ridurre l’uso di quelle fossili. Bisogna poi puntare sull’agroecologia, cioè su un’agricoltura che unisca l’innovazione con il rispetto dell’ambiente e del benessere animale, oltre a ridurre l’uso di acqua e pesticidi. Perché questo passaggio avvenga, occorre aiutare soprattutto le piccole e medie imprese agricole e dare un sostegno per l’acquisto di cibi più sani – spesso più cari – a chi non potrebbe permetterseli.
La lotta per l’ambiente deve andare di pari passo con la coesione sociale. Molti dei cantieri all’opera nel 2024 sono legati ai fondi del Prr e dovranno chiudersi entro giugno 2026. Il punto cruciale è la velocità con cui si agirà: nella lotta al cambiamento climatico vincere lentamente significa perdere. La consapevolezza di quanto sia urgente intervenire cresce tra i giovani, ma non solo, perché la crisi climatica è sotto i nostri occhi. Fino a 20 anni fa si pensava allo scioglimento dei ghiacciai del Polo e all’estinzione dell’orso bianco. Oggi, guardando all’ultimo anno e mezzo, raccontiamo le tragedie della Marmolada, della provincia di Ancona, di Ischia, della Romagna, e della Toscana: 5 eventi estremi che hanno causato perdita di vite umane, e danni miliardari. La consapevolezza, e la pressione dei cittadini può e deve spingere le classi dirigenti, politica e imprenditoriale, a intervenire.
Relazioni
Sempre più connessi eppure sempre più soli. Come superare questo paradosso? Lo abbiamo chiesto ad Alessio Carciofi, docente universitario, esperto di marketing e digital wellbeing. Il suo ultimo libro è Wellbeing. Il futuro umano e digitale del benessere (Il Sole 24 Ore).
10 parole 2024: Alba
Nella nostra società c’è un’epidemia di solitudine, il che è paradossale perché sembriamo tutti connessi. Perciò dovremmo rivedere il modo in cui impostiamo le relazioni. A partire da quella con noi stessi. Per ristabilirla occorre fare archeologia interiore, andare in profondità ponendoci delle domande, capire chi siamo. Come facciamo a volte quando arriviamo al burnout o siamo spinti da un terremoto emotivo, per esempio la fine di una relazione sentimentale o un lutto.
Dobbiamo anche occuparci della relazione con i nostri cari, i colleghi, la società, tenuto conto che oggi questi rapporti sono in buona parte mediati dal cellulare. Non si tratta certo di demonizzare la tecnologia, ma spesso viviamo nell’ambiente digitale in modo poco strutturato. Pochi, per esempio, si rendono conto degli effetti delle “filter bubble”: molte piattaforme personalizzano le informazioni per i singoli utenti, ma questo produce una prima forma di razzismo perché online incontro solo persone simili a me, non il diverso. Così rischio di vedere rafforzate le mie convinzioni, comprese quelle negative.
Solo se mi sono costruito un’identità consapevole dei miei punti di forza ma anche delle mie debolezze, avrò “anticorpi e vitamine” per contrastare l’influenza che può arrivare dal mondo digitale. Per fare tutto questo occorre tempo. È vero che rallentare in una società della performance come la nostra pare un ossimoro, però è l’incipit per vivere meglio ed essere più produttivi. Devo essere consapevole che non posso andare sempre a mille. Saper sostare vuol dire fare di meno e anche dire di no. Dobbiamo passare dal no al noi: i no agli altri sono sì identitari a noi stessi, anche se questo significa far cadere le “maschere” con le quali finora ci siamo presentati. La sfida non è semplice, ma sono fiducioso: penso che siamo al tramonto di un giorno, c’è la notte buia da attraversare con le sue sofferenze e fallimenti, ma si aprirà l’alba di un nuovo giorno. Che sarà un mondo non più incentrato solo sul lavoro, dove vivere relazioni più profonde e vere.
Diritti delle donne
Nel Global Gender Gap Report 2023, che misura la disparità di genere nel mondo, l’Italia è scesa dal 63° al 79° posto. L’unico modo per difendere i diritti che abbiamo e conquistare quelli che ancora ci mancano, è farci sentire. Ne è convinta Benedetta Tobagi, giornalista e scrittrice, vincitrice del Premio Campiello con La resistenza delle donne (Einaudi).
10 parole del 2024: Voce
C’è un filo rosso che ho trovato ripercorrendo nel mio libro le storie delle donne di 80 anni fa: la lotta per far sentire la propria voce. Loro non avevano gran parte dei diritti che abbiamo noi oggi, erano considerate strutturalmente inferiori, non esistevano. Conquistano una voce pubblica nei comizi che preparano e seguono la Liberazione, in cui anche loro sono chiamate a parlare. Il tema della voce si è imposto anche a proposito della violenza di genere.
Mi ha molto colpito come la reazione all’uccisione di Giulia Cecchettin si sia tradotta in un grande bisogno di fare rumore, di farsi sentire in maniera forte. Vorrei ricordare anche Michela Murgia, che abbiamo perso nel 2023. Uno dei suoi libri più preziosi decostruiva l’ordine che ogni donna, prima o poi, si è sentita dare: Stai zitta! Ci hanno sempre chiesto o di stare zitte o di essere compiacenti, di parlare in modo confacente è gradevole. Ecco, far sentire la propria voce vuol dire avere la possibilità di cambiare le cose: non solo esistere, ma anche trasformare il discorso pubblico attraverso il proprio punto di vista e le proprie parole.
È un tema importante, che sperimentiamo ogni giorno in mille modi. Basta guardare le trasmissioni tv: le donne sono sistematicamente sottorappresentate. Anche la narrazione giornalistica perpetua un dominio maschile, per esempio chiamando le donne con il nome di battesimo e gli uomini sempre con il cognome. Far sentire la propria voce è molto di più che conquistare dei diritti per legge. Vuol dire dare spazio al punto di vista delle donne nel discorso pubblico, non soltanto quando si parla di questioni che riguardano la condizione femminile. È importante cambiare pensieri e parole, per cambiare le cose.
Razzismo
Dall’accoglienza dei migranti alla legge sullo ius soli, nell’Italia di oggi c’è bisogno di costruire il senso della comunità. Ne parliamo con Igiaba Scego, scrittrice di origini somale. Il suo ultimo libro è Cassandra a Mogadiscio (Bompiani), a febbraio pubblicherà insieme a Chiara Piaggio Africana (Feltrinelli).
Insieme
Ho sempre delle perplessità davanti a parole come integrazione e inclusione. Le persone non devono includersi l’una nell’altra. Dobbiamo cambiare vocabolario. Al posto di integrazione o inclusione, io uso, “vivere insieme“. Che è quello che dobbiamo cercare di fare come comunità. Possiamo avere background differenti – c’è chi migra, chi è migrante da ormai 50 anni e non può più considerarsi tale, chi è figlio di migranti, chi è italiano da generazioni, chi è napoletano, chi è romano – ma in realtà siamo tutti una comunità che vive in Italia.
È complessa l’identità. Io mi considero romana perché sono nata e cresciuta qui, pero sono anche somala e anche musulmana. Le differenze possono arricchirci reciprocamente se le rendiamo ricchezza, dipende da noi. Nel nostro Paese vedo un problema: se vieni da fuori, soprattutto adesso con questi viaggi orribili, e hai competenze magari da fabbro, pescatore, falegname, non trovi qui un sistema che ti faccia veramente fiorire. Servono parole nuove, politiche, rappresentanza.
Quando entri in un’aula universitaria o accendi la tv, vedi sempre e solo ultra 50enni di un unico colore. Così un giovane di oggi, qualsiasi sia il suo background, non si sente rappresentato. Servirebbe che la diversità che vediamo per strada entri anche nei posti dove si crea pensiero – scuole, biblioteche, università – e dove si crea politica. Il fatto che ancora ci manchi la legge sulla cittadinanza per i figli di migranti nati e cresciuti qua, che a 18 anni molti ragazzi diventino stranieri nella loro nazione, mostra quanto vivere insieme sia faticoso. Però è possibile. Se ci lavoriamo tutti come comunità. Se coltiviamo la filosofia del vivere insieme.
Guerra
Pensando ai conflitti dei nostri giorni, dall’Ucraina al Medio Oriente, ci sembra di vivere l’ora più buia. Ci invita ad andare avanti Lia Levi, giornalista e scrittrice. Il suo ultimo libro è Insieme con la vostra famiglia (e/o), nel 2024 compie 30 anni Una bambina e basta, in cui ha raccontato la sua storia di sopravvissuta alla Shoah.
Speranza
Vorrei formulare un pensiero ottimistico per il nostro futuro, ma in questo momento di guerre non posso. Non posso dire «Tutto si aggiusterà, troveremo il modo» perché mentirei. Quando vedo ciò che accade in Medio Oriente sento un dolore enorme. Quello che io ho pensato in questi giorni è che bisogna sperare di avere speranza.
La vita è una continua lotta tra il bene e il male, ce l’ha insegnato la Bibbia con Caino e Abele, ma sappiamo che alla fine vince sempre il bene. Sempre. Il problema è che non sappiamo quanto tempo ci vorrà, e questo ci rende timorosi. Il fatto però che il mondo vada avanti, che inventi e che crei e che non sia stato distrutto dal male, ci deve muovere ad avere speranza. Io credo che nei momenti di buio più terribile sia necessario coltivare dentro di noi le cose che rendono felici, le passioni come la lettura e l’arte, le emozioni, il pensare alla vita.
Così si scoprono altre persone con gli stessi interessi e questi piccoli gruppi vitali aiutano ad andare avanti. Io condivido i miei pensieri e la mia testimonianza con i bambini, con gli studenti, provo a farli avvicinare ai libri, cercare qualcosa tra le pagine, non schiacciando solo un bottone sul computer. Li invito a pensare, non a lasciarsi affascinare dagli slogan, dalle frasi a effetto. Quando ero in pericolo durante il nazismo, mi sono comportata così, ed è poi rimasta una mia regola di vita. Non pensavo ai tedeschi, ma al piccolo passo concreto che potevo fare. Quando a 11 anni ero nascosta dalle suore ho imparato le preghiere cattoliche per non farmi scoprire. Ma mi sono sempre chiesta: «Come posso affrontare questo problema?», «Cosa devo fare per cavarmela?». Il dolore viene in un secondo momento: il primo passo è quello pratico, che ti permette di affrontare la vita.
Lavoro
È una sfida sia per gli under 30 sia per gli over 50. Come affrontarla? Risponde Marco Bentivogli, esperto di politiche del lavoro e innovazione e autore del saggio Licenziate i padroni (Rizzoli).
Cura
Oggi il mercato del lavoro è polarizzato: da un lato cresce il lavoro povero, in cui si lavora tantissimo e si guadagna pochissimo, dall’altra quello scelto (che non solo è ben remunerato, ma permette di avere più autonomia nella sua gestione). Si stanno anche affrontando tre rivoluzioni in contemporanea: digitale, ambientale e demografica. Abbondano i profeti di sventura che vedono la partita già persa. In realtà è una sfida aperta e, se i fattori di innovazione sono ben giocati, si potrà dare più centralità alla persona.
Ci sono due elementi decisivi su cui agire. Il primo è la formazione. Viviamo un’epoca di profondi e rapidi cambiamenti, buona parte dei bambini ora alle elementari faranno lavori che oggi non esistono. Perciò istruzione di qualità e formazione continua devono diventare un diritto di ognuno. Finora ci siamo adattati a metodi di apprendimento uguali per tutti, invece vanno offerti percorsi formativi che si adattino a caratteristiche ed esigenze della persona.
Il secondo è la relazione. Il potere – in politica, nelle associazioni e nelle imprese – è troppo spesso in mano a mediocri che lo gestiscono in modo paternalistico. Bisogna invece accompagnare le persone verso il cambiamento. Per riuscirci il lavoro deve diventare generatore di relazioni. Ci sono sperimentazioni in cui si costruiscono comunità attraverso lo scambio di competenze tra lavoratori di aziende diverse.
Gli spazi aziendali, poi, vanno ripensati: non devono chiudere le persone in una scatola, ma spingerle alla condivisione perché oggi bisogna saper risolvere i problemi insieme. In un’azienda che si fa comunità entra la dimensione della cura: le persone sono accolte in tutte le declinazioni della loro vita, non solo come portatrici di competenze tecniche, e le attività di cura dei bambini, degli anziani e del territorio vanno redistribuite per farle diventare una missione collettiva.
Intelligenza artificiale
È la parola del 2023 per il Collins Dictionary. II Parlamento europeo ha da poco approvato l’Al Act per regolamentarne l’uso. Cosa dobbiamo aspettarci? Lo spiega Nello Cristianini, docente di Intelligenza Artificiale all’università di Bath e autore di La scorciatoia. Come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano (Il Mulino).
10 parole del 2024: Conoscenza
Stiamo vivendo un progresso accelerato, il passaggio da un’epoca all’altra. Alla base del cambiamento in corso c’è l’Intelligenza Artificiale. Già oggi siamo in grado di conversare con macchine che rispondono con cognizione di causa, in futuro condivideremo il mondo con questa presenza aliena: non ostile, ma diversa. Pensiamo ai lati positivi: il medico di provincia che può chiedere un consulto istantaneo a una macchina che ha letto tutti gli articoli scientifici su una data patologia, la ragazza che vive in un luogo dove non ci sono le scuole e che così potrà imparare.
Certo, ci potrebbe sempre essere chi usa l’AI in modo sbagliato: la soluzione non è tecnica ma culturale e legale. E ci stiamo già lavorando: la discussione è in corso, le leggi sono pronte, a partire dall’Al Act di recente approvato dal Parlamento europeo. La miglior medicina per le nostre paure è sempre stata la conoscenza: nostro dovere e beneficio è informarci. Temiamo, come genere umano, di perdere il nostro dominio sul mondo? E già successo due o tre volte nella storia. Credevamo che la Terra fosse al centro dell’universo, Galileo ci ha dimostrato che non è così. Pensavamo di essere la specie privilegiata, Darwin ci ha dimostrato che siamo una delle tante e che seguiamo le stesse regole evolutive delle altre.sono pronte, di perdere il nostro dominio sul mondo? È già successo due o tre volte nella storia.
Credevamo che la Terra fosse al centro dell’universo, Darwin ci ha dimostrato che siamo una delle tante e che seguiamo le stesse regole evolutive delle altre. E quindi possibile anche che non siamo il punto di riferimento, paragone e arrivo di ogni intelligenza: siamo una intelligenza, ce ne saranno delle altre. Tra i tanti cambiamenti che ci aspettano, questo cambiamento di prospettiva sarà forse la sfida più grande.
Benessere mentale
È tra le cose che più ci sono mancate, stritolati come siamo dalle preoccupazioni quotidiane e dall’ansia per il futuro. Per ritrovarlo occorre ripartire dalle emozioni. Come esorta a fare Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e presidente della fondazione Minotauro di Milano.
10 parole del 2024: Ascolto
«C’ho l’ansia» è l’espressione che ho sentito pronunciare più spesso nell’ultimo anno. A dirla sono in primis i ragazzi, per i quali questa emozione ultimamente ha cambiato forma. Prima era ansia da prestazione: il tema, cioè, era il fallimento, il non sentirsi mai all’altezza. Adesso è qualcosa di più profondo: è un’ansia pervasiva, che spesso si trasforma in angoscia paralizzante e che è causata dall’assenza di prospettive per il futuro e da un vuoto identitario.
È un malessere proprio di chi non si sente accolto, capito, ascoltato, di chi non ha avuto modo di costruire la propria identità, impegnato a essere se stesso nei modi che gli imponevano la famiglia, la scuola, la società. Ma ad avere l’ansia siamo anche noi adulti. In questo caso, però, torna a essere “prestativa”: non ci permette di vedere né di ascoltare perché siamo troppo concentrati nel dimostrare che stiamo facendo bene il mestiere di genitori. E per sentirci in pace con noi stessi chiediamo ai nostri figli di non esprimere difficoltà, emozioni negative, delusioni, perché questo non ci farebbe sentire adeguati.
Non a caso, nel film Inside Out 2, che uscirà nel 2024, l’ansia sarà la nuova protagonista nella testa della piccola Riley, 11enne trasferitasi dal Minnesota a San Francisco per il lavoro del padre: è la dimostrazione che oggi più che mai, ha bisogno di essere conosciuta, riconosciuta e gestita. Come possiamo abbassarla, sia in noi sia nei nostri figli? Dovremmo innanzitutto spostarci dall’iperinvestimento su noi stessi e metterci in ascolto. Poi, dare spazio alle emozioni, reimparare l’alfabeto emotivo, non rimuovere sentimenti, paure e fragilità ma imparare ad accettarli. Questo aiuterebbe a stare meglio noi adulti ma anche i ragazzi, perché sentirebbero finalmente di poter parlare della loro ansia. Che così diventerebbe condivisa, e già solo per questo sicuramente meno, pervasiva e invadente.