Come prevedibile, la Lombardia apre all’ingresso delle associazioni pro-life nei consultori. È la prima Regione italiana a farlo decidendo così di applicare la norma voluta dal Governo nel decreto Pnrr, che di fatto apre i consultori ai movimenti pro-life: quelli che, secondo le associazioni femministe, usano metodi manipolativi (come far ascoltare il battito del feto) per convincere le donne a non abortire, seguendo il modello di un’associazione antiabortista di destra americana. Ma c’è di più: questa legge di fatto sottrae ai consultori il potere di scegliere i professionisti e le associazioni di cui avvalersi, oltre che di gestire i fondi, ridotti all’osso.

Aborto e consultori: altre regioni non applicheranno la legge

Altre regioni, intanto, guidate dal centro sinistra, stanno già dichiarando che non applicheranno la legge. In Toscana, per esempio, l’assessore regionale alla Salute ha dichiarato che non cambierà nulla per una donna che decide per l’aborto: le associazioni del terzo settore (in pratica le associazioni “pro-vita”) non entreranno nei consultori regionali . Dello stesso parere, seppure senza poter decisionale, sono i medici e i responsabili che lavorano all’interno dei consultori.

Cos’è accaduto in Regione Lombardia

La prima regione ad applicare la legge (in realtà un emendamento al Decreto legge sul Pnrr) è la Lombardia. La decisione, dopo un primo momento di attesa, è stata ufficializzata in Consiglio Regionale dal sottosegretario leghista Mauro Piazza (che sostituiva l’assessore lombardo al Welfare, Guido Bertolaso, assente dall’aula). Piazza ha risposto a un’interrogazione presentata dai consiglieri del Patto Civico, che chiedevano come Regione volesse applicare le disposizioni contenute nella norma recentemente approvata dal Parlamento: «Regione Lombardia ha sempre attuato quanto previsto dalla Legge 194 e ha sempre collaborato con il Terzo settore e intende avvalersi di tutte le possibilità che l’ordinamento mette a disposizione per contrastare la denatalità» ha detto il sottosegretario, che ha poi aggiunto: «Le iniziative di Regione Lombardia potranno essere integrate con le nuove opportunità concesse dalla normativa di recente applicazione».

Nei consultori le donne non devono essere giudicate

L’apertura spaventa l’opposizione. A margine della seduta il consigliere Luca Paladini ha detto: «Ho chiesto alla giunta e all’assessore Bertolaso, che era assente, informazioni più dettagliate su quello che pare paventarsi come un pericolo, o almeno è come la vivo io, ovvero la presenza di militanti pro life all’interno dei consultori. Non è tanto l’applicazione nella sua completezza della 194, ma è la paura che quei luoghi diventino non più luoghi in cui una donna viene curata e protetta, ma giudicata perché i pro life sono quelli che raccolgono le firme per far ascoltare alle donne il battito cardiaco del feto. Quindi ci spaventa l’idea che in quei luoghi ci siano associazioni che giudicano da un punto di vista etico e morale le donne».

Un passo indietro per i diritti delle donne

La decisione di Regione Lombardia di consentire ai movimenti Pro-life di entrare nei consultori è un passo indietro per i diritti delle donne. Commenta Diana De Marchi, presidente della Commissione Pari Opportunità e Diritti Civili del Comune di Milano: «Siamo nel 2024 e ancora dobbiamo combattere per il diritto fondamentale di decidere autonomamente sulla nostra salute riproduttiva. Non servono i Pro-life nei consultori, ma sostegni reali alle donne per permettere loro di fare scelte libere, informate e consapevoli sulla maternità. La priorità è fornire risorse e servizi necessari per decidere se e quando avere figli, non imporre alle donne un’agenda ideologica». La giunta lombarda giustifica questa decisione con l’obiettivo (più un pretesto) di invertire la denatalità. «Non si rende conto che la vera soluzione non è limitare le scelte delle donne, bensì migliorare le loro condizioni lavorative e socio-economiche, garantendo un reale sostegno alle famiglie, come dimostrano i dati europei» aggiunge Diana De Marchi. «Il calo delle nascite non può essere affrontato violando i diritti delle donne. Siamo stanche di politiche che mettono a rischio l’autodeterminazione e la dignità delle donne. È ora che la Regione Lombardia si concentri veramente sulle necessità delle donne implementando sostegni concreti alla genitorialità, anziché cedere alle pressioni di gruppi conservatori che vogliono limitare i diritti riproduttivi». Oltre tutto in Italia il tasso di abortività (cioè il numero di interruzioni volontarie di gravidanza per 1.000 donne di età 15-49 anni) è tra i valori più bassi a livello internazionale.

L’Italia fa marcia indietro sul diritto all’aborto

Perché il dibattito sull’aborto è sempre vivo? Perché è un tema politico. Basti pensare che in Italia il tasso di abortività (cioè il numero di interruzioni volontarie di gravidanza per 1.000 donne di età 15-49 anni) è tra i valori più bassi a livello internazionale.

I Paesi europei si muovono in modo variegato. Da una parte il passo avanti della Francia, con il Parlamento che inserisce il diritto di aborto tra quelli garantiti dalla Costituzione, mentre il Parlamento europeo vota a favore dell’inserimento dell’interruzione di gravidanza nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. Dalla parte opposta Paesi come la Polonia e Malta che la stessa Unione Europea ha richiamato affinché abrogassero le loro leggi che rendono di fatto impossibile a una donna di abortire. Poi c’è l’Italia, che a più riprese tenta di smussare la solidità della legge 194 e viene più volte bacchettata per l’alto numero di medici obiettori.

Di fatto, con la legge approvata dal governo, nel nostro Paese si aprono i consultori alle associazioni pro-life che, secondo le associazioni femministe, usano metodi manipolativi (come far ascoltare il battito del feto) per convincere le donne a non abortire, seguendo il modello di un’associazione antiabortista di destra americana.