«L’ergastolo vale anche per loro ed è quello del dolore: non poter rivedere mai più la nipotina» Sono queste le parole dell’avvocato Emanuele De Mitri, che difende Maria Assandri e Viviana Pifferi. Le due donne si sono costituite parte civile nel processo contro Alessia Pifferi, condannata all’ergastolo per aver lasciato morire di fame e sete la piccola Diana nel luglio del 2022 in un bilocale torrido di Ponte Lambro, nella periferia del sud est milanese. Il 29 gennaio si terrà l’udienza d’Appello in Corte d’Assise e per la prima volta l’avvocato De Mitri accetta di parlare in questa intervista esclusiva.
Intervista esclusiva all’avvocato Emanuele De Mitri
Avvocato De Mitri, perché la difesa di Alessia Pifferi è ricorsa in appello e quali sono i possibili scenari?
«Alessia Pontenani, l’avvocata della difesa, chiederà che sia disposta una nuova perizia psichiatrica sulla base di alcuni certificati emersi nel frattempo, che testimonierebbero i deficit cognitivi della Pifferi, tali da cambiare l’accusa in abbandono di minore e dimezzare la pena. Se venissero ammesse anche le attenuanti generiche, la pena verrebbe ulteriormente ridotta. Per parte mia, e per tutti gli elementi emersi nel corso del processo, escluderei questo scenario».
Quindi la partita si riapre e si giocherà tutta sul presunto ritardo mentale, che però le perizie in primo grado hanno escluso.
«Nella penultima udienza del processo, quindi dopo la perizia, è emerso un certificato in cui la scuola elementare che Alessia Pifferi frequentava chiedeva assistenza psicologica per le difficoltà di apprendimento della bambina. Lì la scuola consigliava alla famiglia un percorso psicologico. In un altro documento si scriveva che i problemi di attenzione e relazione sono tra i requisiti che danno diritto ai genitori di richiedere i permessi lavorativi in base alla legge 104. Parliamo del 1993, e la legge entrò in vigore l’anno prima: prevede un iter specifico tra cui l’esame da parte di una commissione medica dell’Inps, che deve attestare il deficit. I genitori però non fecero nulla. Quindi non esiste alcuna certificazione di presunta disabilità mentale della Pifferi».
Avvocato De Mitri, la difesa ha chiesto una nuova perizia collegiale con tre psichiatri. Cosa potrebbe accadere se la perizia, qualora venisse accolta, stabilisse l’incapacità di intendere e volere della Pifferi?
«Se venisse accolta la richiesta di perizia collegiale, e l’esito fosse diverso da quella di primo grado, Alessia Pifferi sarebbe assolta per incapacità di intendere e di volere. E di conseguenza sarebbe annullato anche l’obbligo del risarcimento del danno: 50mila euro per la mamma, 20mila per la sorella, più 9mila euro di spese legali. A quel punto noi come parte civile non potremmo avere la possibilità di impugnare la sentenza, possibilità che spetterebbe solo al Procuratore Generale in Cassazione».
Perché la mamma e la sorella si sono costituite parte civile? È un caso assai raro quello di una parte della famiglia schierata contro un membro della stessa famiglia.
«Lo scopo non è tanto avere un risarcimento economico (che potrebbe derivare solo dalla vendita della casa in cui è morta Diana), quanto prendere moralmente e ufficialmente le distanze da Alessia. La madre è stata molto combattuta nel darmi l’incarico: “È pur sempre mia figlia” mi diceva. Alla fine Maria Assandri si è decisa ma questo processo, oltre a cambiare la vita a lei e a Viviana, l’ha cambiata anche a me. Ho passato notti a studiare carte, documenti e le migliaia di messaggi sul telefono della Pifferi: quelli al compagno, per indurlo a tornare insieme, e quelli dei mesi in cui si prostituiva».
Quali sono le responsabilità della madre e della sorella?
Tutta Italia, dal momento del ritrovamento del corpicino di Diana, si è interrogata sul ruolo e sulle presunte responsabilità di Viviana e della madre Maria Assandri. Possibile che le due non avessero capito le condizioni in cui stavano Alessia e la bambina? Possibile che non siano riuscite ad aiutarla? Eppure Maria mandava regolarmente pacchi e soldi alla figlia, era anche andata più volte a Milano in suo soccorso (vive da diversi anni in Calabria con il compagno), le aveva pure preparato tutti i documenti per poter ottenere sussidi e benefici di legge, che la figlia però non aveva mai presentato, probabilmente per evitare che i servizi sociali si allertassero.
Il ruolo della madre di Alessia Pifferi
Ed era stata lei a portare la bambina all’ospedale nel 2021, mentre Alessia faceva la “vips” in Costa Azzurra con il compagno (così scriveva su whatsapp all’unica amica). Anche Viviana, la sorella che, pure all’interno di un rapporto difficile, l’aveva aiutata con pacchi di pannolini e fugaci visite (Alessia non voleva che si intromettesse), in questi anni si è trovata nell’occhio di un ciclone, accusata di distacco e disattenzioni. «Noi abbiamo la coscienza pulita» ha urlato più volte Maria Assandri nelle comparsate tv degli ultimi mesi. «Se mia figlia ci avesse chiesto aiuto tutto ciò non sarebbe successo. Io ora non so più cosa voglia dire vivere: ho il cuore diviso a metà. Ho perso una figlia e una nipote».
È stata Viviana a voler seppellire Diana nel cimitero di San Giuliano, comune distante una manciata di chilometri da Ponte Lambro e dove vive col figlio di 20 anni. «Non sono stata capace di portarla via da viva, almeno lo faccio da morta» ha dichiarato col pianto in gola.
Avvocato De Mitri, l’aiuto che Viviana e la madre hanno dato ad Alessia non è stato sufficiente. Perché?
«Viviana ha nove anni in più di Alessia ed è molto diversa da lei: uscita di casa presto per mantenersi, tanti lavori umili alle spalle e una separazione, in questi anni ha mantenuto a fatica i rapporti con la sorella. Neanche era stata avvisata che sarebbe diventata zia. È stata Alessia a non volere ingerenze, a impedire le videochiamate con la madre e la sorella. Alla madre diceva che la bimba dormiva, alla sorella che la lasciasse in pace e che Diana stava bene. E in effetti fino alla primavera del 2022 la bimba era ben curata».
Dopo, cos’è successo?
«Alessia Pifferi ha tentato in ogni modo di far funzionare la relazione con Angelo Mario D’Ambrosio, “il bergamasco”, che era tornato a cercarla. Così ha iniziato a prostituirsi per racimolare denaro e allo stesso tempo a lasciare da sola la piccola per qualche weekend, fino alla settimana fatale».
Avvocato De Mitri, perché l’ergastolo ad Alessia Pifferi?
Perché l’ergastolo? Una pena che non è stata data neanche ad Annamaria Franzoni, condannata il 30 gennaio 2002 per l’omicidio del piccolo Samuele Lorenzi a 16 anni di carcere, e che ora è libera.
«I giudici hanno deciso che Alessia Pifferi sia l’unica responsabile della morte della bambina e che questo comportamento rappresenta un rarissimo caso di omicidio provocato dall’omissione di un soggetto che rivestiva una posizione di garanzia nei confronti della figlia minore: cioè una madre che non ha prestato le cure necessarie alla bimba piccolissima. Alessia Pifferi è stata condannata all’ergastolo perché ritenuta colpevole di omicidio volontario aggravato dal rapporto di parentela e perché ha agito mettendo in conto il rischio che la piccola potesse morire a causa del suo abbandono. Poi si è dimostrato che non soffre di alcun disturbo psichiatrico tale da condizionare la sua condotta: il perito l’ha considerata capace di intendere e volere nel momento in cui lasciò da sola la bambina, più volte, fino a quella fatale. Gli unici fattori psichici emersi sono la dipendenza da uomini più grandi di lei, e la cosiddetta alessitimia, cioè l’assenza patologica di empatia (definizione che abbiamo tutti imparato in questo processo). Fattori, però, che non sono stati considerati in grado di influire su una decisione come quella di abbandonare la bambina per sette giorni».
Il primo libro su Alessia Pifferi
Il processo ad Alessia Pifferi ci ha scosso così tanto non solo per la mostruosità contro natura di quanto è accaduto, ma anche per l’aspetto sociologico: la Milano dimenticata di Ponte Lambro, a pochi chilometri dal glam di piazza Gae Aulenti, dove Alessia Pifferi non era mai stata fino ai suoi 36 anni. E da dove parte il libro del giornalista Alessandro Gilioli Un futuro gioioso davanti (ed Nutrimenti), proprio la frase che usa la Pifferi a inizio 2022, quando ricomincia la relazione con Angelo Mario D’Ambrosio, “il bergamasco”, che sarà fatale in quell’estate maledetta.
Ponte Lambro, dove tutto nasce
Il libro-inchiesta analizza i tanti dubbi emersi in questo processo che, come ci spiega l’autore, «ha portato alla luce l’insondabilità della mente umana e la nostra difficoltà a interpretarla, ha sovrapposto psicologia e psichiatria, deficit e difficoltà, per arrivare a “mostrificare” Alessia Pifferi. Una figura detestabile e bugiarda ai limiti del grottesco, che non merita alcuna forma di solidarietà, ma rispetto alla quale siamo chiamati a chiederci se abbia senso riabilitativo tenere chiusa in carcere per sempre questa donna allo stesso tempo ripugnante e confusa, che forse non ha mai consapevolmente voluto la morte della figlia ma senz’altro ha agito in modo da provocarla».