Sull’affido condiviso e la bigenitorialità sono in arrivo novità, ma non per tutti si tratta di una buona notizia. Se da anni ci si batte per regole eque per la gestione di figli dei genitori separati, ecco che un disegno di legge ora all’esame in Senato sta facendo discutere. Non a caso è stato ribattezzato “Ddl Salomone”, dal nome del terzo re d’Israele che, pur essendo noto per la sua saggezza, arrivò a ordinare di tagliare in due il figlio conteso da due donne. Ma cosa c’entra con le nuove norme in discussione?
Affido condiviso: cosa prevede il Ddl Salomone
Il testo (Ddl 832 a prima firma del senatore Alberto Balboni, FdI) modifica l’istituto dell’affido condiviso. Uno dei punti centrali è l’eliminazione del concetto di “residenza abituale” per i figli di genitori separati: i minori, infatti, dovranno stare in due case, alternativamente e in modo paritetico. In pratica dovranno vivere dalla madre e dal padre per un identico numero di giorni. Un concetto che, pur sembrando a prima vista equo, di fatto costringe bambini e ragazzi a dividersi in due, un po’ come decise Salomone nella Bibbia, quando stabilì di tagliare a metà (fisicamente, però) il figlio conteso da due donne.
Figli “divisi a metà”
Di fatto, quindi, sparisce l’obbligo per il giudice di adottare provvedimenti «con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale dei figli». Da qui le prime forti critiche, soprattutto da parte di associazioni e centri anti-violenza, secondo i quali il provvedimento ricorda troppo da vicino quel Ddl Pillon che già nel 2018 aveva cercato di modificare le leggi sull’affido condiviso e contro il quale si era pronunciata persino l’ONU. «Come nel gioco dell’oca siamo ritornati al punto di partenza», dicono le opposizioni oggi.
Le critiche al Ddl sull’affido: cosa non convince
In particolare i centri antiviolenza sono molto critici. Si «ignora la complessità delle relazioni familiari in un paese che non investe in politiche sociali», denuncia Differenza Donna. Della stessa idea l’avvocata Teresa Manente, in prima linea nella difesa dei diritti delle donne, specie in casi di violenza: «Propone una ripartizione matematica al 50% del tempo tra i genitori nei casi di separazione e divorzio, imponendo una spartizione geometrica dei figli, per di più sanzionata penalmente ove non si riesca a rispettarla. Qualcosa che ignora la realtà delle relazioni familiari, dove l’affettività, la cura e la responsabilità non possono essere ridotte a simmetria di tempi».
Perché la bigenitorialità perfetta non esiste
Ancora più netta l’avvocata Claudia Rabellino Becce, esperta di diritti delle donne, che a Donna Moderna spiega: «È la vita che ce lo dice, noi genitori siamo tutti imperfetti, anche perché non esiste un libretto d’istruzioni. Per questo credo non possa esserci una finzione giuridica, una legge che pretenda di avere una bigenitorialità perfetta che non esiste neppure in natura: cavalcare questo concetto piegando le leggi può essere molto pericoloso. Senza contare che in questo caso si tocca il superiore interesse del minore, che è un diritto di rango costituzionale. Occorre molta prudenza: con Salomone sappiamo che non è andata molto bene».
Il Ddl Salomone sull’affido condiviso penalizza le madri?
Un punto molto delicato riguarda anche l’aspetto economico, che rischia di penalizzare fortemente le donne, già alle prese con il gender gap e maggiori difficoltà lavorative: prevedendo l’obbligo di doppio domicilio e cancellando l’istituto dell’assegnazione della “casa familiare”, il testo di fatto costringe padri e madri ad avere una casa nella quale il figlio possa vivere per un tempo paritario. Ma non sempre questa soluzione è sostenibile. «Conosciamo il gap economico che riguarda le donne che, in genere, rappresentano la parte più debole. Andare in questa direzione significa penalizzarle maggiormente», sottolinea Rabellino Becce.
Cos’è il nasting e perché in Italia è poco realistico
«Il principio a cui sembra richiamarsi il testo è quello del nasting americano, ossia la possibilità di lasciare i figli in una casa – nast, nido in inglese – alternando la presenza dei genitori in modo paritario per garantire stabilità ai bambini o ragazzi. Ma si tratta di una soluzione che, pur presente anche in Italia, riguarda pochissime ex coppie agiate, che possono permettersi più case, possibilmente vicine a quella principale nella quale vivono i figli. Si tratta di soluzioni lontane dalle realtà sociali della maggior parte delle famiglie italiane», commenta ancora l’avvocata.
Ddl Salomone e mantenimento: cosa cambia per le famiglie
Nei 18 articoli sparisce anche l’obbligo di mantenimento per i figli sulla base delle capacità economiche. Anche da questo punto di vista a essere in difficoltà saranno soprattutto le madri che, come certificano i dati Istat e Inps, sono più fragili economicamente. «Il principio dal quale si parte è che ciascun genitore debba provvedere alle esigenze dei figli per il tempo in cui stanno con loro e per la parte di propria pertinenza. Ma io mi auguro, anche in questo caso, che si tenga conto di quella che è la parte economicamente più debole. Il concetto della valutazione del patrimonio e dei redditi deve restare, altrimenti andremmo incontro a conseguenze aberranti», spiega Rabellino Becce.
L’obbligo di mediazione familiare è pericoloso: il rischio di vittimizzazione secondaria
Nelle intenzioni di Balboni c’è anche l’introduzione dell’obbligo di mediazione familiare e coordinazione genitoriale, cioè il passaggio da un esperto – solitamente uno psicologo – che possa tentare di ricomporre le conflittualità, ma che di fatto rischia di mettere le donne in serie difficoltà, specie in caso di forti opposizioni o persino di violenze. Il problema, infatti, è che costringerebbe a seguire percorsi che potrebbero mettere le madri in condizione di vittimizzazione secondaria, a contatto con l’autore degli abusi o alle prese con nuove forme di controllo.
Tra le voci più critiche c’è quella di Radfem Italia, a difesa delle donne, che in una lettera aperta sottolinea: «In questi anni abbiamo assistito a diverse vicende strazianti che riguardano minori strappati dallo Stato alle loro madri e collocati in casa-famiglia solo perché rifiutavano di vedere il padre, in molti casi denunciato penalmente per atti violenti. Una vittimizzazione secondaria che nel 2022 era stata ben illustrata dalla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, che aveva preso in esame ben 1.400 casi».
Figli e violenza assistita: cosa dice il Ddl Salomone
«La violenza – scrive ancora Radfem Italia – è alla base di molti casi di separazione, spesso assistita da parte dei figli, ma nei tribunali civili troppe volte non si prendono in considerazione i procedimenti penali a carico di padri indagati o condannati per violenza». «Questo è uno dei primi aspetti del Ddl fatti rilevare da chi si occupa di violenza. Tra l’altro va tenuto presente che molte donne ancora oggi faticano a denunciare, per paura di perdere i figli. Sono quindi situazioni da valutare con grandissima attenzione, caso per caso, mentre una legge tenderebbe a fare di tutta un’erba un fascio, mettendo molte donne in serio pericolo», aggiunge Rabellino Becce.
Una riforma dell’affido che metta al centro i minori, non i genitori
Se per le donne questo Ddl rappresenta dunque una potenziale minaccia, non va meglio per i figli: per il Garante dei diritti dell’Infanzia, Marina Terragni, «Il rischio è che prevalga una prospettiva di tipo adultocentrico». Riflettendo sui potenziali rischi, Terragni sul Sole 24 Ore spiega che la soluzione delle due abitazioni per i figli, «che potrebbe apparire equa, in realtà comporta dei rischi per la stabilità, per la serenità del bambino». Le abitazioni, infatti, dovrebbero essere vicine, per permettere al minore o ai minori di continuare a frequentare la stessa scuola, amici o attività sportive.
In tutto questo non manca la voce del Comitato genitori per i figli, che ricorda: «Numerose coppie di genitori separati spesso usano i figli come mezzi per la loro conflittualità manipolandoli nella relazione e impedendo loro, volenti per pressione psicologica o nolenti, la regolarità della frequentazione con l’altro genitore». Un comportamento che, senza scomodare definizioni come Pas o “stalking genitoriale”, porta spesso un genitore separato a mettere in cattiva luce l’altra parte davanti ai figli, con conseguenze anche gravi. Per questo si invoca una riforma più ampia, che vada ben oltre la mera spartizione dei “turni di frequentazione”.
Perché serve un modello chiaro per gestire l’affido condiviso
Un’altra criticità viene sollevata poi dall’Associazione Mantenimento diretto, che raggruppa sia padri che madri: «Il 40% è costituito da donne, perché per noi non è una questione di padri o madri, ma di bene dei figli e di famiglie che, nonostante la coppia si separi, continuano a esistere e ad avere rapporti. Temo che il Ddl non risolverà, comunque, il problema principale e cioè che, in assenza di accordo tra le parti, le scelte sono rimesse al giudice. Occorrerebbe, invece, un modello di riferimento nella gestione delle separazioni: dovrebbe prevedere tempi paritari e mantenimento diretto entro linee chiare, lasciando che le valutazioni del giudice riguardino solo adattamenti alle singole realtà familiari», spiega Salvatore Dimartino, presidente dell’Associazione.
Il Ddl Salomone sull’affido condiviso non risolve i problemi relazionali
«Molto spesso i problemi in caso di separazioni sono soprattutto relazionali. Di frequente, per esempio, si ha a che fare con il non rispetto dei tempi di frequentazione, usato come arma dai due ex coniugi. Ma in questi casi non si può fare molto, neppure invocando la legge, perché alla base c’è la gestione del conflitto familiare – osserva Rabellino Becce – L’unico aspetto positivo è che il Ddl è ancora in itinere, quindi si presta alle valutazioni del caso, sperando di migliorarlo».
Affido condiviso: parte la petizione contro il Ddl Salomone
Per tutti questi motivi è stata avviata una raccolta firme contro il Ddl 832, che in poche settimane ha superato le 1.600 adesioni. Il problema resta l’urgenza di mettere a punto una legge che sia realmente equa, che offra pari diritti a entrambi i genitori, ma tutelando i figli e le parti deboli, che quasi sempre sono le madri. I tentativi recenti non hanno portato a risultati concreti, mentre sono numerose le sollecitazioni che arrivano dall’Europa che, attraverso la Corte per i Diritti dell’Uomo, ha sanzionato l’Italia ripetutamente, condannandola a risarcimenti ingenti.