Il braccialetto elettronico è tra gli strumenti a disposizione dell’autorità giudiziaria per tutelare le vittime protette dal divieto di avvicinamento del soggetto violento. «È un valido deterrente ma nulla di più, con il paradosso che fa sentire la donna al sicuro quando talvolta non è così».
Braccialetto elettronico: un deterrente
Valerio de Gioia, consigliere di Corte di Appello e consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, per 15 anni giudice di tribunale nella sezione specializzata sulla violenza di genere, è critico sull’uso che in Italia si fa del braccialetto elettronico. «Il problema è l’eccessivo ricorso alle misure cautelari minori abbinate, per esempio, gli arresti domiciliari o il divieto di avvicinamento». Oggi sono in funzione 4.800 braccialetti, ma aumentano i casi di malfunzionamento «legati alla mancata copertura di rete, e non solo.
Manca una zona di pre-allerta
«Le sale operative non sono attrezzate per l’esponenziale aumento delle segnalazioni e l’assenza di una zona di pre-allerta (quella che precede il limite, superato il quale scatta l’allarme, ndr) non garantisce un intervento tempestivo» prosegue il giudice De Gioia. «Io ho imposto il braccialetto elettronico a soggetti che scrivevano messaggi molesti o che al massimo si erano fatti trovare sotto casa un paio di volte. Davanti a comportamenti gravi servono misure più efficaci. E soprattutto un cambio di mentalità. Smettiamola di guardare i precedenti penali e concentriamoci sulla gravità dei fatti e sui “reati sentinella”, come la minaccia aggravata e le percosse. Basta vedere gli ultimi casi di cronaca: Filippo Turetta e Alessandro Impagnatiello erano incensurati eppure hanno ucciso».
La storia di Carolina e del braccialetto elettronico che non funziona
Carolina (nome di fantasia per ragioni di privacy) spia fuori dal portone: un’occhiata a destra e una a sinistra. Via libera. Esce stringendo tra le mani l’allarme elettronico che la dovrebbe proteggere. Prima di salire in macchina si guarda ancora indietro. Carolina fa il medico, ha 49 anni e ogni mattina per andare a lavorare si inventa un percorso diverso. Solo di recente ha ricominciato a ricevere i pazienti al pomeriggio: uscire dallo studio con il buio la terrorizza.
Lo stalker non la molla mai
È passato un anno da quando il suo ex si è avventato su di lei picchiandola. «Vivo nella paura da quando ci siamo lasciati. Prima erano solo dispetti, insulti al telefono da un numero anonimo, poi ha iniziato a seguirmi per gridarmi che me l’avrebbe fatta pagare» racconta. «Speravo smettesse, ma è stato sempre peggio. Si è addirittura iscritto al mio corso di aerobica per il gusto di passare un’ora a fissarmi con rabbia. Per mesi mi ha pedinato e vedermi con un altro lo ha fatto andare in tilt». Come quella sera nel parcheggio, quando l’ha speronata e costretta a fermarsi. «Ho pensato: mi ammazza. Avevo lo spray al peperoncino, ma lui è riuscito a stortarmi la mano e me lo ha sparato sugli occhi e in bocca». L’hanno salvata i carabinieri e l’ambulanza, allertati dai passanti.
Il braccialetto elettronico dato al suo ex
Tre giorni dopo il giudice ha imposto all’uomo il braccialetto elettronico. Una cavigliera a lui e una sorta di telefonino da portare sempre con sé per lei. «Ma non funziona, spesso si spegne e non rileva nulla. Più di una volta lui è andato al ristorante sotto casa mia, però il braccialetto non l’ha segnalato. E le forze dell’ordine non mi hanno avvisato. L’ho saputo per caso dal proprietario del locale. Come faccio a stare tranquilla?». Carolina ha denunciato il malfunzionamento alla polizia, ma ha aspettato mesi perché sostituissero il dispositivo. «E quando è arrivato ho constatato con amarezza e sconcerto che eravamo al punto di partenza. Anche il nuovo apparecchio non lancia l’alert all’avvicinarsi del mio ex».