Si chiama “capsula del suicidio assistito”, un nome che indica subito lo scopo: permettere, a chi lo desidera, di porre fine alla propria vita in modo autonomo, tramite un’apparecchiatura chiamata “Sarco”. Per la prima volta è stata utilizzata in Svizzera. A usufruirne è stata una donna americana di 64 anni che, stando al comunicato della società che l’ha accolta, soffriva di una «grave compromissione immunitaria». Ma le autorità elvetiche hanno aperto un procedimento penale sul caso, effettuando diversi arresti.

Capsula Sarco: il primo caso al mondo, in Svizzera

La notizia ha fatto il giro del mondo in poche ore, subito dopo che una donna statunitense ha chiesto e ottenuto di porre fine alla propria vita utilizzando la cosiddetta “capsula del suicidio assistito”, ideata e realizzata dal medico australiano Philip Nitschke, che ha supervisionato l’operazione dalla Germania. Lo scopo è semplificare le procedure di suicidio in modo autonomo da parte del paziente sofferente che ne faccia richiesto, come precisato in un comunicato dalla Exit International, ong con sede nei Paesi Bassi che ne ha curato lo sviluppo.

Come funziona la capsula?

La capsula è stata ideata e stampata in 3D, su progetto di Exit International. La sua realizzazione è costata 1 milione di dollari. Lo scopo, come spiega la società sul proprio sito, «era quella di creare una capsula in grado di produrre una rapida diminuzione del livello di ossigeno, mantenendo al contempo un basso livello di CO2 (le condizioni per una morte pacifica, persino euforica)». Il progetto iniziale risale a ben 12 anni fa, quando per la prima volta l’azienda era stata contattata «per una soluzione tecnologica per un uomo del Regno Unito con la sindrome Locked-in».

La scoperta del suicidio della donna

Il suicidio assistito tramite capsula, praticato per la prima volta in Svizzera, ha però avuto conseguenze penali. Ad avvertire che una donna aveva utilizzato l’apparecchiatura Sarco, infatti, è stato uno studio legale in Svizzera, adiacente all’area all’aperto in cui la paziente è morta lunedì 23 settembre: la capsula, infatti, era stata posizionata in un bosco privato vicino al confine svizzero-tedesco. Come riferito da The Guardian, l’unica persona presente durante il suicidio sarebbe stata Florian Willet, co-presidente di The Last Resort, un’affiliata svizzera di Exit International, che ha descritto il decesso come «pacifico, rapido e dignitoso».

Capsula Sarco in Svizzera: sequestro, arresti e fascicolo penale

Non appena informate, però, le autorità elvetiche hanno disposto il sequestro della capsula e il trasferimento del corpo della donna all’Istituto di medicina legale di Zurigo per accertare le cause della morte. Quattro persone sono state arrestate, inoltre, per istigazione e favoreggiamento al suicidio: un fotografo del quotidiano olandese Volkskrant, che ha immortalato il suicidio; due avvocati e il copresidente della Sarco Florian Willet. Come ha spiegato Elisabeth Baume-Schneider, a capo del Dipartimento della Giustizia del governo di Berna, la capsula non è considerata conforme alla legge perché l’uso dell’azoto «viola la legge sui prodotti chimici e non può quindi essere immesso sul mercato».

Il suicidio e le autorizzazioni dei familiari

Il problema, però, non sarebbe limitato all’uso dell’azoto. Secondo il giornale Blick, la cittadina americana che ha praticato il suicidio con la capsula «sentiva il desiderio di morire da almeno due anni». I due figli sarebbero stati «completamente d’accordo», anche se non presenti in Svizzera, tanto da lasciare una dichiarazione scritta di assenso a The Last Resort, l’organizzazione impegnata nella tutela dei soggetti che decidono di intraprendere la strada del suicidio assistito.

Svizzera, la capsula Sarco è illegale?

Un altro aspetto dubbio riguarda l’ideatore della capsula. Il dottor Nitschke avrebbe seguito la procedura di suicidio dalla Germania attraverso un cardiofrequenzimetro e una telecamera posizionata all’interno dello strumento: «Quando è entrata nel Sarco ha premuto quasi subito il pulsante. Non ha detto nulla. Voleva davvero morire – riferisce Associated Press – Stimo che abbia perso conoscenza nel giro di due minuti e sia morta dopo cinque minuti». Lo stesso medico si sarebbe accertato della liceità della pratica con alcuni avvocati svizzeri, prima di avviarla. La legge elvetica, infatti, consente il suicidio assistito, ma a condizione che il paziente lo pratichi senza «assistenza esterna», e a patto che eventuali altre persone che lo assistano agiscano senza alcun «fine egoistico». È questo il caso?

Il fine vita in Italia

Il caso risolleva la questione del fine vita in Italia, dove manca ancora una legge specifica. Come ricorda l’Associazione Luca Coscioni sul proprio sito, «la Costituzione riconosce che nessuno può essere obbligato ad alcun trattamento sanitario contro la propria volontà e prevede altresì che la libertà personale è inviolabile», in base all’articolo 32 comma secondo. «Grazie alla disobbedienza civile di Marco Cappato per l’aiuto fornito a Fabiano Antoniani, “DJ Fabo”, è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza 242/2019, dichiarando l’incostituzionalità parziale dell’articolo 580 del Codice penale». Ma come funziona, quindi, nel nostro Paese?

Cosa dicono le leggi italiane

«La materia è molto complessa, il fine vita in Italia è disciplinato da due leggi e una sentenza della Corte costituzionale», spiega l’avvocato Gianni Baldini, professore associato di Diritto Privato e docente di Biodiritto, presso le Università di Firenze e Siena. «La legge 38 del 2010 prevede l’obbligo per lo Stato di garantire le cure palliative e il divieto di accanimento terapeutico. Significa che, in caso di condizioni critiche, con prognosi infausta (quindi se il trattamento sanitario fosse inutile e dispendioso per il Servizio sanitario nazionale), il paziente ha diritto a cure palliative con cannabis o morfina, e ha diritto alla sedazione palliativa profonda, cioè una sorta di eutanasia all’italiana», spiega il legale.

Il testamento biologico

Un’altra legge importante è la 219 del 2017 sulle disposizioni anticipate di trattamento cioè il cosiddetto testamento biologico: «Afferma che, in attuazione dell’art 32 della Costituzione, il medico non può effettuare trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, ma è vincolato a questa, sia tramite una dichiarazione diretta, sia tramite il testamento biologico, depositato in Comune, alla Asl o presso un notaio – spiega Baldini – È la cosiddetta libertà terapeutica».

Pianificazione condivisa delle cure

«La legge prevede anche la pianificazione condivisa delle cure, che consiste in una sorta di contratto tra medico e paziente: il primo fa una prognosi e propone un piano terapeutico, anche può essere anche nel corso degli anni, e il paziente può esprimere la propria volontà, per esempio negando il consenso al ricorso a un respiratore artificiale – sottolinea l’avvocato – Infine, c’è una terza area di intervento, il suicidio medicalmente assistito, previsto dalla sentenza numero 242, cosiddetta “sentenza Cappato”».

Suicidio assistito ed eutanasia

«In questo caso, in base al principio della dignità della persona e della tutela del diritto di scegliere i trattamenti sanitari a cui essere sottoposto, il paziente può chiedere il suicidio medicalmente assistito, a patto che si rispettino i requisiti previsti», spiega Baldini. «Le condizioni richieste dalla sentenza sono: la richiesta deve essere di una persona che sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente», spiega l’Associazione Luca Coscioni.

I casi di suicidio assistito in Italia

«Il medico, quindi, può prescrivere (ma non somministrare) un farmaco che possa accelerare il fine vita. il paziente lo assume, quindi, con autosomministrazione», chiarisce Baldini. Quanto all’eutanasia attiva, cioè quando il medico somministra il farmaco «in Italia è penalmente illecita – conclude Baldini – La Corte costituzionale ha affermato solo il diritto soggettivo al fine vita, ma in concreto non ha indicato le modalità riguardo a tempi, luoghi, etc. – osserva Baldini – Al momento, quindi, ciascuna realtà agisce in modo autonomo. Per questo la Regione Toscana, ad esempio, sta discutendo una proposta di legge regionale per disciplinare nelle Asl le modalità con cui praticarlo».