Cosa succede quando su una tavola piena di prelibatezze a base di carne vengono mostrate etichette sull’allarme climatico? In passato, ricerche scientifiche avevano dimostrato il potere delle immagini grafiche di avvertimento sulla salute sui pacchetti di sigarette. In seguito è stato appurato che avevano avuto successo nel dissuadere tante persone dal fumare.
Alert sulla carne come quelli delle sigarette
Sulla base di quella esperienza, alcuni ricercatori hanno voluto accertare se una tale tattica possa promuovere un comportamento più sostenibile quando si tratta di mangiare carne. Hanno scoperto, così, che le etichette funzionano anche in questo caso.
Infatti, nel corso di un esperimento svolto nel Regno Unito, l’inclusione di un’etichetta di avvertimento climatico sui piatti di carne ha ridotto del 7,4% la frequenza con la quale i partecipanti allo studio sceglievano la carne. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Appetite.
I rischi del consumo di carne
La carne ha una miriade di impatti: dall’aumento del rischio di obesità, malattie cardiovascolari e cancro, all’inquinamento ambientale, all’aumento delle emissioni e alla perdita di biodiversità. Inoltre, la produzione di carne può diffondere malattie zoonotiche. All’inizio della pandemia di Covid-19, gli allevamenti intensivi erano tra gli ambienti in cui il virus si diffondeva più rapidamente.
I ricercatori hanno voluto accertare quale tra queste categorie di preoccupazioni – salute, clima o pandemia – sia la più motivante per ridurre il consumo.
Come si è svolta la ricerca
Lo studio guidato dal ricercatore del dipartimento di psicologia dell’Università di Durham, Jack Hughes, ha coinvolto 1.001 adulti nel Regno Unito. A quattro gruppi di partecipanti è stato chiesto di immaginare di trovarsi in una mensa universitaria e di scegliere tra quattro opzioni per la cena: carne, pesce, vegetariana e vegana.
In un gruppo, l’opzione della carne è stata accompagnata da un’etichetta di avvertimento che recitava: “Mangiare carne contribuisce a una cattiva salute“, abbinata a un’immagine di una persona vittima di infarto. Risultato: i ricercatori hanno registrato un calo dell’8,8% nella scelta di carne.
A un altro gruppo è stata mostrata l’etichetta di avvertimento climatico con un’immagine della deforestazione: in questo caso il calo è stato del 7,4%. Il terzo gruppo ha ricevuto un’etichetta di avvertimento pandemico con un’immagine di carne esotica. Questo ha ridotto le scelte di carne del 10%.
Perché passare a una dieta a base vegetale
Gli studi hanno dimostrato che la produzione di carne contribuisce in misura significativa, tra il 14% e il 20%, alle emissioni globali di gas serra.
Una ricerca del marzo 2023 ha avvertito che agli attuali tassi di consumo alimentare il mondo supererà 1,5°C di riscaldamento entro la fine del secolo. In gran parte questo sarà dovuto a causa del metano che proviene dal bestiame. Passare a una dieta a base vegetale, quindi, potrebbe avere un impatto enorme.
Nell’ambito della strategia del Regno Unito per ridurre le emissioni, il Comitato sui cambiamenti climatici ha chiesto di ridurre del 20% il consumo di carne entro il 2030. Secondo i ricercatori, queste etichette potrebbero portare il Paese a circa metà strada dal suo obiettivo.
Il precedente negli Stati Uniti
La ricerca pubblicata su Appetite è la seconda del genere a studiare l’impatto delle etichette di allerta climatica sulla carne. Nel 2021, alcuni ricercatori avevano condotto un test simile negli Stati Uniti, ma con avvertenze di solo testo sui pasti di carne preconfezionati nei negozi di alimentari. Non hanno riscontrato alcun impatto significativo.
La differenza tra i due studi potrebbe essere dovuta alle differenze culturali tra i due Paesi. Ma il successo dello studio del Regno Unito rispetto a quello degli Stati Uniti potrebbe anche essere attribuito all’inclusione di immagini accanto al testo. Inoltre, nel caso dei ricercatori britannici, l’etichetta includeva un riferimento scientifico alla fonte delle informazioni: l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura e la Harvard Medical School.