Niente più “padre” o “madre”, sulla carta d’identità torna la definizione generica di “genitori”: a deciderlo è stata la Cassazione, che ha così respinto il ricorso del ministero dell’Interno contro una decisione della corte d’appello di Roma. Il motivo: scrivere “padre” e “madre” è «irragionevole e discriminatorio» perché non è rappresentativo dei diversi tipi di famiglie che esistono oggi. Il caso, infatti, era stato sollevato da una coppia di donne.
Cosa ha deciso la Cassazione
I fatti risalgono al 2019, quando l’allora responsabile del Viminale, Matteo Salvini, aveva emanato un decreto ministeriale con il quale era stato eliminato il termine “genitore 1” e “genitore 2” dalla carta d’identità dei figli per tornare a “padre” e “madre”. Una famiglia omogenitoriale composta da due donne – una biologica e una adottiva tramite la stepchild adoption – aveva però presentato ricorso. Già in primo grado avevano ottenuto ragione, tanto che il tribunale di Roma aveva disposto che sulla carta d’identità elettronica del figlio, necessaria a espatriare, ci fosse solo il termine “genitore”.
I motivi della decisione
In appello, i giudici di secondo grado ai quali aveva fatto ricorso il ministero dell’Interno, avevano condiviso la posizione delle donne. Ora anche secondo i Supremi giudici solo il termine “genitore” è in grado di rappresentare i diritti del minore e non discriminarlo, mentre il decreto ministeriale non rappresenta tutte «le legittime conformazioni dei nuclei familiari e dei correlati rapporti di filiazione». In pratica non permette di rispecchiare la composizione familiare reale del figlio o della figlia di una coppia omogenitoriale.
Una sentenza “storica”
Il principio al quale si sono richiamati i giudici della Cassazione è che deve sempre prevalere l’interesse del minore, che ha diritto a crescere in un contesto stabile e riconosciuto, che sia riconosciuto anche a livello burocratico. Insomma, anche le istituzioni devono recepire i cambiamenti sociali che oggi sono evidenti. «La sentenza (n. 9216/25) della Cassazione può essere definita storica perché ha riconosciuto come discriminatoria per il minore la mancata indicazione nella sua carta d’identità della esatta indicazione anagrafica dei propri genitori, siano essi due uomini, due donne o un uomo e una donna», commenta l’avvocato Gianni Baldini, professore associato di Diritto Privato e docente di Biodiritto, presso le Università di Firenze e Siena.
Più diritti per le famiglie arcobaleno
«La decisione non sarà priva di conseguenze verso quei Comuni che si sono opposti alla trascrizione dei certificati di nascita formati all’estero da parte di coppie omogenitoriali», aggiunge Baldini. Il riferimento è a quelle Amministrazioni che finora avevano richiesto che ci dovesse essere «in ogni caso un padre e una madre come condizione di validità per l’iscrizione all’anagrafe comune dei figli di coppie omogenitoriali nati all’estero. «È un primo passo importante verso il superamento della discriminazione di questi minori – osserva Baldini – Ma è anche un primo traguardo per tutte quelle coppie alle quali è stato posto il rifiuto di trascrizione del certificato di nascita formato all’estero, anche tramite le pratiche di fecondazione assistita vietate in Italia».
Disparità tra uomini e donne
In ogni caso, secondo gli esperti di diritto, si tratta di un primo passo di tipo culturale, ma non normativo. Rimangono, infatti, ancora molti paletti da superare, a partire dalle disparità tra coppie composte da due donne e coppie composte da due uomini. Nel primo caso, per esempio, la strada dell’adozione in casi particolari, cioè del figlio biologico del partner, è percorribile, mentre non lo è per le famiglie omosessuali maschili, a causa del divieto di surrogazione di maternità. D’altro canto, l’invito a legiferare in materia, giunto dai tribunali, è ancora inascoltato.
Lo scontro politico
Il caso ha scatenato intanto un dibattito politico acceso. Se il segretario di +Europa, Riccardo Maggi, definisce la battaglia condotta negli anni scorsi da Salvini come una «crociata senza senso», la deputata della Lega Laura Ravetto, responsabile del dipartimento Pari opportunità del partito, annuncia che «La Cassazione cancella mamma e papà, che per fortuna sono irrinunciabili per la natura e il buonsenso. Non ci arrenderemo mai».