Nelle ultime ore è arrivata una novità che riguarda il Codice rosso contro le violenze domestiche e di genere. Si mira ad aumentare le tutele contro le vittime, in tempi più rapidi, ma esistono alcune criticità: manca personale sufficiente nei Tribunali e spesso chi ha subito maltrattamenti e violenze è anche oggetto di vittimizzazione secondaria. «Nonostante alcune donne riescano a trovare il coraggio di denunciare il proprio aggressore, spesso sono poi costrette a dover ripetere il loro racconto in aula anni dopo, rivivendo momenti drammatici che avevano cercato di superare, rimuovendoli. Non è accettabile, per questo si dovrebbe prevedere la possibilità di incidente probatorio subito», spiega Valerio de Gioia, giudice penale del Tribunale di Roma. Autore del libro Il Codice rosso (La Tribuna), ci spiega i nuovi strumenti in arrivo, senza nasconderne alcuni limiti.
L’estate italiana dei femminicidi
In Italia ogni tre giorni una donna è vittima di omicidio. L’estate che sta per concludersi ha visto alcuni degli episodi più efferati, come la morte di Giulia Tramontano, la 27enne incinta uccisa dal padre del bambino che portava in grembo. O quella della 20enne Sofia Castelli, o dell’infermiera Mara Fait o di Anna Scala, la 54enne a cui l’ex compagno ha tolto la vita abbandonandola poi nel bagagliaio dell’auto. Gli ultimi episodi in ordine di tempo sono quelli di Rossella Nappini, infermiera uccisa a coltellate dall’ex, e di Marisa Leo, che aveva denunciato per stalking il compagno da cui si era separata. Sono circa 80 le vittime da inizio 2023: un dato che, dopo il picco del periodo della pandemia, è in linea con quello del 2019. Ma questo non rincuora, anzi. Per questo, oltre al Decreto Caivano, il Governo ha messo mano al Codice Rosso.
Codice Rosso: cosa cambia
Per le vittime di violenza e stalking, lo strumento principale resta la denuncia, ma spesso questa cade nel vuoto o non è accompagnata da provvedimenti concreti immediati, come il divieto di avvicinamento alla vittima. Cosa cambia, adesso? «La novità introdotta dall’esecutivo e che deve ancora arrivare in Gazzetta Ufficiale prevede la possibilità che il Procuratore della Repubblica possa sentire direttamente la persona offesa, vittima di maltrattamenti o violenze, laddove il magistrato non lo abbia fatto entro tre giorni. Questo perché al momento il Codice rosso stabilisce proprio che il pm ascolti la vittima entro 36 ore dalla denuncia alle forze di polizia. Finora è capitato, però, che questo non avvenisse, per diversi motivi, quindi ora il Procuratore potrà procedere in prima persona o designare un altro pm», spiega il giudice.
Nonostante il Codice rosso, interventi troppo lenti
L’obiettivo, dunque, è velocizzare gli interventi. Ma resta il fatto che spesso, dopo una denuncia, non seguano misure concrete. Perché? «Il problema non si supera solo con la novità appena decisa, ma sicuramente potrebbe servire a far sì che, quando arriva una denuncia a carabinieri e polizia, il pm o il procuratore possano valutare personalmente la gravità dei fatti – chiarisce de Gioia – Bisogna, però, superare un equivoco: alcuni magistrati ritengono che la vittima non possa ripetere loro altro rispetto a quanto ha detto alle forze dell’ordine, ma non è così. Solo il pm, infatti, può disporre le misure cautelari, come per esempio il divieto di avvicinamento. Per questo all’epoca dell’introduzione del Codice rosso nel 2019 si era sottolineata la necessità di sentire la vittima. Questa ulteriore novità appena approvata vorrebbe rendere effettivo il provvedimento, permettendo di ascoltare le persone offese».
Manca il personale che ascolti le vittime
Il principio, però, si scontra con la realtà: spesso manca il personale nei Tribunali: «Uno dei problemi maggiori, infatti, è che non tutti gli uffici delle Procure hanno la possibilità di svolgere queste incombenze – ammette La Gioia – L’ascolto delle persone offese non è la mera ripetizione di quanto denunciato, possono volerci ore, soprattutto se le violenze e i maltrattamenti proseguono da anni. Purtroppo c’è una carenza di organico: il Tribunale di Roma ha un gruppo di pubblici ministeri che si occupa solo di questo, come a Tivoli nonostante questo sia un centro più piccolo, ma in molti uffici di altre procure i pm sono troppo pochi», osserva de Gioia.
Come evitare la vittimizzazione secondaria
Al momento si attendono le disposizioni attuative della riforma. Ma occorre fare presto, per non rischiare di continuare ad assistere anche a un altro problema concreto: la vittimizzazione secondaria delle vittime. «Non dimentichiamo che chi trova il coraggio di denunciare spesso che oltre che vittima primaria di maltrattamenti è anche vittima di un sistema processuale che costringe a ripetere la propria testimonianza in aula, magari 3, 4 o 5 anni dopo i fatti. Questo non è soltanto doloroso per la persona offesa, che invece magari vorrebbe dimenticare le violenze e i soprusi subiti, ma può avere anche un’altra conseguenza. Siccome non si può pretendere che il suo racconto sia identico parola per parola, può succedere o che la vittima ritratti perché non vuole rivivere il ricordo del dramma subito oppure che sia messo agli atti che il testimone non ha voluto ripetere in aula quanto denunciato in precedenza, con tutte le conseguenze del caso. Per ovviare a questa criticità basterebbe prevedere l’incidente probatorio fin dalla fase della denuncia o entro un tempo breve, magari un mese», spiega il giudice, che insiste: «Non si tratta di un dettaglio da poco: significherebbe poter avere un confronto diretto tra vittima e aggressore per evitare che la prima sia scoraggiata dal denunciare».
I diritti delle vittime: il patrocinio statale gratuito
Un altro elemento che limita alcune denunce ha invece a che fare con l’aspetto economico: in molte non sanno di poter avere accesso all’avvocato gratuito da parte dello Stato. «Intanto va ricordato che non è obbligatorio avere un legale per sporgere denuncia come persona offesa – conferma il giudice de Gioia – Inoltre, a prescindere dal reddito, si ha diritto al patrocinio a spese dello Stato. È l’unica categoria di reato, quella per violenza di genere e domestica, per cui c’è questa possibilità».
Mancano fondi per l’aiuto alle donne
Ciò che manca, invece, sono investimenti adeguati a sostegno delle donne che denunciano. Come ha ricordato Elisa Ercoli, presidente dell’associazione Differenza Donna che gestisce il 1522 (il numero telefonico antiviolenza e stalking), i soldi non sono sufficienti: «Non solo per i centri antiviolenza, che fanno un ottimo lavoro e che sono il primo presidio per le donne, ma anche per il reddito di libertà. Introdotto tempo fa proprio per tutelare le donne che avevano avuto coraggio di denunciare uomini da cui dipendevano economicamente, oggi non ha fondi a sufficienza. Se una donna rinuncia al lavoro per agevolare la carriera del marito o compagno, ma poi ne subisce violenze, diventa un enorme problema per lei denunciare i maltrattamenti. Non solo non ha un reddito proprio, ma spesso deve anche trovarsi una casa, perché l’allontanamento del denunciato non è automatico. Si fa presto, quindi, a dire “Denunciate”, ma poi chi aiuta la donna che trova il coraggio di farlo?», insiste de Gioia.
Serve uno psicologo che valuti l’aggressore
«C’è anche un’altra azione possibile che potrebbe aiutare a prevenire alcune violenze: l’affiancamento di una figura professionale come lo psicologo al magistrato, prima dell’eventuale processo, cioè non solo per valutare l’eventuale capacità di intendere e volere dell’aggressore – prosegue il giudice – La valutazione del magistrato, infatti, è cartolare, cioè si basa sulle carte: il pm controlla, per esempio, i precedenti penali, ma a differenza di altri reati come i furti dove i precedenti possono essere numerosi, chi compie violenze o maltrattamenti può essere incensurato. Risulta difficile, quindi, giustificare una misura cautelare. Una valutazione di uno psicologo, invece, potrebbe permettere di scoprire di più sulla personalità del soggetto, perché magari ha avuto un Tso, o segue cure mediche o è psicologicamente fragile: sta per scoppiare per intenderci».
Braccialetto elettronico e pene severe servono?
Come sostiene anche Ercoli, aumentare le pene invece non serve. Se l’Associazione Differenza Donna chiede la certezza della pena, de Gioia spiega: «Inasprire non fa da deterrente perché spesso chi uccide la compagna poi si toglie la vita. Aumentare le pene serve solo a evitare che chi commette questi reati non esca presto dal carcere». Prima di entrare in carcere, però, ci si potrebbe avvalere del braccialetto elettronico. Serve davvero? «È utile nella misura in cui permette alle forze di polizia di sapere che il soggetto che lo porta ha violato la restrizione, per esempio uscendo di casa. Anche la vittima viene allertata, ma se nel frattempo lo stalker o il maltrattante l’ha raggiunta non si può fare nulla o si rischia di arrivare tardi – spiega il giudice – Insomma, è una buona misura, ma non risolutiva. Occorre aumentare i fondi, come detto, e gli organici dei magistrati: sono 8.000, come nel 1940, ma la popolazione e i reati nel frattempo sono aumentati. Solo così si potranno dare risposte efficaci in tempi rapidi», conclude de Gioia.