No all’introduzione del genere non binario (né maschile né femminile) o di un “terzo genere” tramite sentenza. Lo ha deciso la Corte Costituzionale, che però ha rinviato la questione al Parlamento, riconoscendo di fatto la legittimità della richiesta delle persone non binarie di essere identificate come tali. Gli stessi giudici hanno poi eliminato l’obbligo per le persone transgender di avere l’autorizzazione di un giudice prima di operarsi. Da questo momento in poi, basterà la valutazione dello psicoterapeuta e del chirurgo.
Il caso a Bolzano
A sollevare la questione costituzionale sul genere non binario era stato il Tribunale di Bolzano dopo la richiesta di una persona transgender, biologicamente donna ma che stava transitando nel genere maschile, la quale voleva rettificare il sesso nell’atto di nascita da “femminile” ad “altro”.
Nella sentenza n. 143, appena depositata, i giudici della Consulta scrivono che “l’eventuale introduzione di un terzo genere di stato civile avrebbe un impatto generale, che postula necessariamente un intervento legislativo di sistema, nei vari settori dell’ordinamento e per i numerosi istituti attualmente regolati con logica binaria”.
Terzo genere, Consulta: “Necessaria una legge”
La Corte Costituzionale ha sottolineato che la caratterizzazione binaria uomo-donna ha ricadute sul diritto di famiglia, del lavoro e dello sport, sulla disciplina dello stato civile e del prenome, la conformazione dei “luoghi di contatto” come carceri, ospedali e simili.
Tuttavia, per i giudici “la percezione dell’individuo di non appartenere né al sesso femminile e né a quello maschile – da cui nasce l’esigenza di essere riconosciuto in una identità “altra” – genera una situazione di disagio significativa rispetto al principio personalistico cui l’ordinamento costituzionale riconosce centralità (art. 2 della Costituzione)”.
Inoltre, sempre secondo i giudici, “nella misura in cui può indurre disparità di trattamento o compromettere il benessere psicofisico della persona, questa condizione può del pari sollevare un tema di rispetto della dignità sociale e di tutela della salute, alla luce degli artt. 3 e 32 della Costituzione”. Da qui la conclusione che “tali considerazioni, unitamente alle indicazioni del diritto comparato e dell’Unione europea, pongono la condizione non binaria all’attenzione del legislatore, primo interprete della sensibilità sociale”.
Terzo genere, no all’autorizzazione dei giudici per l’intervento
La seconda parte della sentenza è destinata ad avere un impatto nel breve periodo. Infatti, i giudici hanno dichiarato incostituzionale l’articolo 31, comma 4, del decreto legislativo n. 150 del 2011, che obbliga le persone transgender a ottenere l’autorizzazione del tribunale all’operazione.
Secondo i giudici, potendo il percorso di transizione di genere “compiersi già mediante trattamenti ormonali e sostegno psicologico-comportamentale, quindi anche senza un intervento di adeguamento chirurgico”, la prescrizione dell’autorizzazione giudiziale è una “palese irragionevolezza”, nella misura in cui sia relativa a un trattamento chirurgico che “avverrebbe comunque dopo la già disposta rettificazione”.
Da questo momento in poi, dunque, le persone transgender, designate tali da una perizia psicologica, potranno direttamente rivolgersi ai chirurghi per fare l’intervento chirurgico, senza dover chiedere l’autorizzazione al tribunale.