«Temporaneamente chiuso» recita l’avviso affisso da settembre 2023 all’esterno del consultorio di Largo Sette Chiese alla Garbatella, storico quartiere popolare di Roma. Sono passati 6 mesi e non ha più riaperto. È stato “accorpato” a quello di via dei Lincei, ormai unico riferimento per l’intero VIII Municipio della Capitale, con un’utenza di 130.000 cittadini. «Si tratta solo di un gioco di parole» commenta Cristina, che fa parte del Coordinamento Garbatella, nato in autunno in difesa del consultorio «perché, se di due consultori ne resta solo uno e in quello rimasto non aumentano le prestazioni, il risultato è comunque un taglio netto dei servizi».

300 consultori chiusi in 10 anni

Eppure la legge 34 del 1996, che disciplina i consultori familiari, sulla quantità di presidi necessari sul territorio parlerebbe chiaro: almeno uno ogni 20.000 abitanti. L’Italia, però, non si è mai messa in regola. Secondo l’ultimo censimento disponibile, firmato dall’Istituto Superiore della Sanità nel 2019, da Nord a Sud passando per le isole, i consultori sarebbero solo 1.800: uno ogni 32.000 cittadini, circa il 60% in meno dello standard previsto dalla legge. E il trend nel tempo peggiora: circa 300 presidi sono stati chiusi negli ultimi 10 anni.

Un’emergenza da Nord a Sud

È così anche a Trieste: 200.000 abitanti, 4 consultori. E se 4 sarebbero già pochi, perché stando alla legge dovrebbero essere 10, al peggio non c’è fine. Nonostante le proteste degli abitanti, per una scelta riorganizzativa dell’azienda sanitaria locale saranno presto ridotti a 2. «Manca il personale. O meglio, mancano i fondi per assumere nuovo personale. Questa è la spiegazione che hanno dato a noi e ai cittadini di Trieste» dice ancora Cristina. Ed è questa la risposta che si erano sentite dare anche le attiviste calabresi, quando l’anno scorso sono riuscite a impedire la chiusura dei 7 consultori presenti nella Locride. Ma il tema della carenza di personale resta: in nessuno di quei 7 l’équipe è al completo.

Mancano fondi e personale

E infatti, sempre stando ai dati dell’ISS, solo un consultorio su 2 nel nostro Paese avrebbe uno staff in regola con le indicazioni di legge: almeno un ginecologo, un’ostetrica, uno psicologo e un assistente sociale. Al primo piano dell’edificio in Largo Sette Chiese, dove un tempo c’erano ginecologia, ostetricia e psicologia, oggi c’è solo la stanza per le vaccinazioni: è l’unico servizio rimasto attivo. Le altre porte sono chiuse, gli spazi vuoti e le luci spente. «I dirigenti dell’azienda sanitaria hanno avuto il coraggio di dirci che gli utenti qui erano troppo pochi» racconta Kuei, che ha affrontato le sue 2 gravidanze con l’aiuto dello staff della Garbatella. «La verità è che il consultorio era stato depotenziato da tempo. Non c’era mai nessuno all’accettazione, rispondevano al telefono solo un’ora al giorno. È chiaro che chi aveva la possibilità di essere seguito meglio andava altrove. Ma questo era un buon motivo per migliorare le prestazioni offerte, non per lasciare solo chi ha più bisogno di servizi gratuiti!».

Qui si tutelano la salute e i diritti

Mentre mi parla, Kuei ha alle sue spalle l’avviso di “chiusura temporanea”, rimasto lì quasi a promemoria della beffa. Intorno, pennarello rosso su cartoncini di ogni colore, sono stati affissi molti altri biglietti attraverso i quali le attiviste hanno provato a raccontare cosa, dal loro punto di vista, rende quel luogo sacro. «Il consultorio è l’antidoto all’isolamento delle madri», «Quando tutte le porte sono chiuse, questa è sempre aperta», «Qui nessuno ti giudica» sono solo alcuni dei messaggi. C’è anche una foto che immortala alcune delle giovani femministe che, negli anni ’70, scesero in piazza per ottenere l’apertura dei primi consultori familiari, con l’intento di farne veri e propri presidi sociali, prima ancora che sanitari, rivolti a tutti, ma soprattutto alle donne.

Una conquista da difendere

Erano tempi di grandi cambiamenti culturali, dal referendum sul divorzio alla legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, e l’importanza di quelle conquiste, quasi come una responsabilità tramandata di generazione in generazione, riecheggia ancora oggi. «Parliamo tanto di sconfiggere la violenza sulle donne» mi dice Francesca, anche lei residente alla Garbatella, «e poi non riusciamo a capire che, magari con la scusa di dover fare un pap test, una donna può uscire di casa, entrare in un consultorio, parlare con una psicologa e decidere di denunciare. Che ce ne facciamo delle panchine rosse se poi vengono sbarrate le porte dei luoghi che, concretamente, possono salvarci la vita?».

Sono luoghi sicuri e gratuiti

È sempre nei consultori che, per scelta della Regione Lazio, da febbraio dovrebbe essere distribuita gratuitamente la pillola contraccettiva alle ragazze tra i 14 e i 21 anni. Non a caso, anche le più giovani alla Garbatella non sono contente all’idea di perdere il loro presidio di riferimento. «Chi, come me, non ha voglia di condividere con i propri genitori dettagli della sua vita sessuale qui può trovare risposte e prevenire traumi più grandi, come l’aborto. E se anche l’aborto diventasse l’unica opzione, sarebbe comunque il consultorio il primo luogo dove andrei. Perché è un posto sicuro, gratuito, laico, dove la privacy viene sempre rispettata» racconta Martina (nome di fantasia), 17 anni. Già, perché il consultorio della Garbatella era anche uno dei pochi a garantire l’interruzione volontaria di gravidanza in una Regione in cui sono presenti obiettori di coscienza nel 44% degli ospedali.

Più consultori significa più prevenzione

«Se ci si pensa» aggiunge Martina «più consultori significa più prevenzione e, quindi, maggiore risparmio. Anche per chi ha problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti, ad esempio. Per tutti i ragazzi, di qualunque sesso, con questo o altri tipi di fragilità, qui c’era lo spazio giovani. Prevenire invece che curare: è a questo che dovrebbe pensare chi non sa spiegarsi l’utilità dei consultori!». «Quando i miei figli diventeranno grandi, vivranno in un Paese in cui esisteranno ancora i consultori? Ogni tanto me lo domando e la risposta non mi pare scontata» aggiunge Kuei. E prima di salutarci lascia un ultimo biglietto sul cancello di Largo Sette Chiese: «No alla chiusura del nostro consultorio. Da una residente della zona, per se stessa e per le donne e gli uomini di domani».