Cyberbullismo: la storia di Flavia, una delle tante vittime
Flavia era ancora una bambina quando i compagni hanno iniziato a prenderla di mira. Aveva un corpo troppo grande e sedeva sempre al primo banco, quanto bastava per diventare un bersaglio. Alle scuole medie gli sfottò si sono fatti insulti: “balenottero spiaggiato”, “cicciona di merda”, “secchiona”, “palla di lardo”. «Si divertivano a tempestarmi di sms per dirmi che facevo schifo, che puzzavo. Mi scrivevano “muori di cancro”. Ero io, sola contro tutti, senza un perché, ma inghiottivo e cercavo di andare avanti per la mia strada».
In terza media gli aguzzini di Flavia hanno alzato ulteriormente il tiro. E le hanno dedicato un finto profilo Facebook. «Hanno usato il mio nome e il mio cognome, cambiando una sola lettera. Riempivano la bacheca di post pieni delle solite cattiverie, ma questa volta era la finta me a ripetere che ero una “sfigata”, inviava richieste di amicizia e metteva in piazza quelle cose umilianti. Quando già tutti sapevano, è stata una mia amica a dirmelo. Mio padre li ha contattati, ma ci è voluto l’intervento della scuola perché chiudessero il profilo. Non mi hanno mai chiesto scusa, né loro, né i genitori. Per loro era solo una ragazzata».
Oggi che Flavia ha 21 anni, tra i corsi alla facoltà di Lettere e il laboratorio di arti sceniche, si ritaglia il tempo di andare davanti a classi di ragazzi a raccontare di sé per la campagna #Cuoriconnessi organizzata contro il cyberbullismo dalla Polizia di Stato e da Unieuro. Al centro di questa iniziativa ci sono un tour nelle scuole e un libro che è stato distribuito in 7.500 istituti: lo ha scritto un giornalista, Luca Pagliari, e raccoglie oltre a quella di Flavia tante testimonianze dirette di chi ha subìto ma anche di chi ha bullizzato usando il potere di uno smartphone.
Il cyberbullismo è in aumento
“Scherzi” come quelli che anni fa hanno rovinato l’adolescenza di Flavia continuano a essere la croce di migliaia di adolescenti oggi. Secondo i dati raccolti dalla cooperativa sociale Pepita Onlus, nel 2010 il cyberbullismo colpiva in Italia il 7% dei ragazzi tra gli 11 e i 16 anni, nel 2014 la percentuale è salita al 12%, nel 2018 al 22%. Eppure, dopo anni di dibattiti, nel 2017 è stata varata in Italia la prima legge contro il cyberbullismo, che tenta di contrastarlo con strumenti concreti. Oggi i ragazzi possono chiedere ai gestori dei siti e dei social di oscurare o rimuovere contenuti imbarazzanti e segnalare direttamente gli autori al Questore. Ed è stato previsto in ogni scuola un referente tra i docenti, a cui gli studenti possono rivolgersi in caso di difficoltà.
Cyberbullismo, la legge del 2017
Ma non basta: la 71/2017 resta una legge zoppa. Nel 2019 le denunce dei minori documentate dalla polizia postale sono state appena 460, e anche la possibilità di far rimuovere i contenuti si è rivelata un’arma spuntata: le vittime convivono con l’incubo che un video eliminato da un social possa essere ripostato altrove, o circolare indisturbato in una chat.
Cyberbullismo: è la strategia di prevenzione a fare acqua
«Nelle scuole si tengono continuamente incontri o seminari di esperti ma manca una cabina di regia, sono misure spot di cui nessuno valuta l’efficacia» spiega Ivano Zoppi, segretario generale della Fondazione intitolata a Carolina Picchio, la ragazza morta suicida nel 2012 per un video messo online in cui veniva molestata dai suoi “amici” e la cui vicenda ha ispirato la legge. «Si è perso di vista l’obiettivo: i ragazzi oggi sono sommersi da informazioni sul cyberbullismo e hanno le competenze tecniche, ma non le usano. Non si è lavorato sulla loro coscienza, e il risultato non si ottiene con qualche ora di laboratorio all’anno. E poi ci sono i genitori: dov’è il coinvolgimento delle famiglie? La metà degli adolescenti non denuncia, ma oltre che la paura e il rapporto “malato” che può crearsi con il bullo, il motivo è che non sentono di avere un adulto a cui rivolgersi».
Cyberbullismo: ci vuole empatia
Per invertire la rotta servono strumenti capaci di arrivare alla testa dei ragazzi, passando per il cuore. «Di decaloghi ne vengono pubblicati tanti, ma imporre le cose da fare e da non fare a questa età non serve» conferma Paola De Rose, neuropsichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. «Vengono percepite come regole, e rifiutate. La parola chiave è un’altra: empatia. I ragazzi devono capire quali sono le conseguenze di ciò che fanno attraverso le esperienze dei coetanei che ci sono già passati, devono identificarsi con loro. Vale per le vittime ma vale anche per i bulli, che non sono necessariamente ragazzi fragili: a volte semplicemente sono persone incapaci di mettersi nei panni degli altri. Si sentono estranei alla loro vittima, vivono in una bolla in cui contano solo i “like” dei compagni, mentre intorno al perseguitato si crea il vuoto». La posta in gioco è alta, anche perché i bulli che non si pentono hanno alte probabilità di continuare a commettere reati o errori del genere anche da adulti.
Cyberbullismo: bisogna capire che non è un gioco
L’obiettivo di chi oggi combatte il cyberbullismo è lavorare sull’incapacità dei ragazzi di comprendere la differenza tra il gioco pesante e la vessazione. Quella inconsapevolezza che ha spinto le compagne di Flavia, un giorno, a scattarle una foto di spalle, con il sedere bene in vista, foto che in un attimo ha fatto il giro della scuola. La stessa inconsapevolezza che fa compiere gesti ingiustificabili a molti dei protagonisti del libro di Luca Pagliari (vedi box sotto). «La frase che più spesso mi sono sentito dire è: “non sapevo” o “non credevo”. È solo quando piombano i carabinieri in casa o arriva la denuncia, che si rendono conto di essere stati degli imbecilli. Allora realizzano quanto male hanno fatto, provano vergogna, piangono per ore, e si pentono» spiega il giornalista. La sberla va data prima. Una sberla fatta di parole e di emozioni, che può avere il potere di svegliare la coscienza di questi ragazzi.
È stato proprio rivivendo la sua esperienza attraverso quella di un altro che tre anni fa Flavia ha deciso di impegnarsi contro il cyberbullismo. «Luca Pagliari era venuto a scuola a parlarci di Andrea, un ragazzo romano che ha subìto per anni gli insulti dei compagni. Mentre lo ascoltavo sembrava che parlasse di me». Andrea non ce l’ha fatta: si è tolto la vita a 15 anni. Ma la sua storia ha dato nuova forza a Flavia. Che dopo averla ascoltata, si è alzata dal suo banco e ha deciso di non tacere mai più.
LA SERIE TV sul cyberbullismo
Nelle foto di questa pagina, Joy, Alice, Max, Stefano e gli altri adolescenti protagonisti della serie tv Jams. Nella seconda stagione, su Rai Gulp
dal 16 marzo, i 4 amici inseparabili faranno fronte comune per combattere l’attacco di cyberbullismo subito da uno di loro.
La serie andrà in onda tutti i giorni, dal lunedì al venerdì. I primi episodi sono in anteprima su RaiPlay
Cyberbullismo: il diritto a ripulire siti e social
La legge 71/2017 permette agli adolescenti e ai genitori degli under 14 di chiedere al gestore del sito o del social di oscurare o rimuovere contenuti offensivi. Se entro 24 ore non vengono presi provvedimenti, o si hanno difficoltà a contattare il gestore, ci si può rivolgere al Garante della privacy, che interviene entro 48 ore (garanteprivacy.it/).
La Fondazione Carolina è partner di Facebook per la segnalazione e l’analisi dei casi di cyberbullismo. Per informazioni, fondazionecarolina.org.
IL LIBRO
I NUMERI DEL CYBERBULLISMO
Il 58% dei ragazzi che assistono a un episodio di cyberbullismo non difende la vittima. Il 35% lo ignora sperando che si risolva da solo.
(Fonte: Studio Eu Kids Online)