Stavolta la donna che doveva morire non è morta. È successo a Varese. Lei – Lavinia Limido, 37 anni – è stata sfregiata al volto ed è in ospedale, molto grave, mentre a morire è stato suo padre, un uomo di 71 anni accorso per tentare di proteggerla dall’assalto dell’ex marito. Lui, Marco Manfrinati – ex avvocato, 40 anni – da due anni la tormentava dopo una separazione difficile, con un figlio di tre anni conteso.
Cos’è successo a Varese
Come riporta Il Corriere della Sera, lei, dopo diverse esitazioni, era stata convinta a denunciarlo dai suoi genitori, prima maltrattata in casa, poi perseguitata fuori. E così su quest’uomo, esperto di cause di divorzio, pendeva un divieto di avvicinamento. Per questo si era autosospeso dall’Ordine degli avvocati. Nel frattempo le visite al figlio piccolo erano state sospese, come l’iter giudiziario prevede. Ma la vita di Lavinia era cambiata. Da quanto riporta il quotidiano, ormai aveva paura anche ad andare a fare la spesa. Finché l’aggressione è avvenuta davanti allo studio del padre, geologo, da cui lei era uscita.
Come racconta Il Giorno, lui l’ha colpita a volto e al collo, lei ha urlato disperatamente, il padre è accorso ed è stato ferito al torace, per morire poco dopo. Mentre veniva portato via dalla polizia, Manfrinati continuava a insultare la ex suocera, e sorridendo ai fotografi aggiungeva frasi beffarde: «Come sta tuo marito?».
Il divieto di avvicinamento non basta
Perché non si è riusciti a fermare quest’uomo, evidentemente disturbato, pure già denunciato? È chiaro che il divieto di avvicinamento non basta. «Questa misura servirebbe a scongiurare il delitto di maltrattamento. È una misura cautelare alternativa alla custodia cautelare e agli arresti domiciliari, ma dovrebbe essere abbinata al braccialetto elettronico» spiega Ilaria Li Vigni Marino, avvocata penalista esperta di politiche di genere, fresca autrice del libro Sulle donne. La parola agli uomini. Il punto di vista maschile sulla parità di genere (Franco Angeli ed.).
Oltre al divieto di avvicinamento ci vuole il braccialetto elettronico
«La legge 168 del 2023 ha ampliato l’uso del braccialetto invitando i giudici ad applicarlo sempre, ma questo non accade in tutti i casi» spiega l’avvocata. Perché? Recentemente è scaduta la convenzione del Ministero dell’Interno con Fastweb, come ha denunciato il presidente del tribunale di Milano, Fabio Roja, in un incontro pubblico: «Le norme esistono e sono anche belle, ma devono poter camminare sulle gambe degli operatori e dei fondi: noi giudici lavoriamo con zero risorse». Nella Procura di Milano, almeno, il divieto di avvicinamento viene disposto a 500 metri, perché maggiore è la distanza dalla vittima, maggiore è il tempo che ha la polizia per intervenire quando il limite viene violato.
Occorrono perizie psichiatriche su ogni uomo denunciato
Quante volte ci chiediamo perché non si possa prevenire un evento come l’aggressione di Varese, portata a termine da un uomo che – riporta Il Corriere della Sera – da tempo viveva con pochi soldi, sempre meno amici, sempre più squilibrato. Il problema è che dopo una denuncia dovrebbe intervenire una perizia psichiatrica, e questo non accade. «A Milano però – spiega sempre il giudice Roja – abbiamo attivato un pool di quattro criminologi: due lavorano con la Procura e due presso la sezione del Gip (Giudice per le indagini preliminari), per studiare gli indicatori di rischio, quei segni distintivi nella personalità dell’uomo in grado di far prevedere possibili condotte criminose. Da uno studio sul femminicidio emerge infatti che in molti casi non vi è stata neppure le denuncia: le donne stesse sottovalutano il rischio perché non riconoscono il reato, mentre il pubblico ministero, da parte sua, chiede poi misure inadeguate».
Formazione ed educazione per prevenire la violenza
Ci vogliono dunque competenza e specializzazione ma anche risorse. «Basta con l’ipocrisia: la nostra quotidianità dovrebbe essere coerente. Occorre praticare il rispetto alla diversità e alla parità di genere a tutti i livelli, a partire dal linguaggio» sottolinea l’avvocata Li Vigni. «In una scuola dove ho appena presentato il mio libro, una ragazza mi ha chiesto cosa ne pensassi dell’inferiorità femminile. Chiediamoci in che contesto possa essere stata educata questa giovane e diamoci da fare tutti per erodere sempre di più la cultura androcentrica in cui siamo immersi e quel pensiero maschilista del possesso e della vendetta contro le donne».