È morto in ospedale all’Aquila il boss Matteo Messina Denaro. L’ultimo stragista di Cosa Nostra, 61 anni compiuti ad aprile, è stato arrestato a gennaio dopo tre decadi di latitanza. Soffriva di una grave forma di tumore al colon diagnosticatagli quando ancora era ricercato, nel 2020.
Gli ultimi giorni di Matteo Messina Denaro
Dopo la cattura, Messina Denaro è stato sottoposto a chemioterapia nel supercarcere dell’Aquila dove gli è stata allestita una sorta di infermeria attigua alla cella. Un’equipe di oncologi e infermieri del nosocomio abruzzese lo ha costantemente seguito nei nove mesi di detenzione, durante i quali è stato sottoposto a due operazioni chirurgiche legate alle complicanze del cancro. Dall’ultima non si è più ripreso, tanto che i medici hanno deciso di non rimandarlo in carcere, ma di curarlo in una stanza di massima sicurezza dell’ospedale, trattandolo con la terapia del dolore e poi sedandolo.
La figlia Lorenza al suo capezzale
Prima di perdere coscienza, il padrino di Castelvetrano ha incontrato alcuni familiari e dato il cognome alla figlia Lorenza Alagna, avuta in latitanza e mai riconosciuta. La ragazza, che aveva incontrato il padre per la prima volta in carcere ad aprile, è stata al suo capezzale negli ultimi giorni, insieme a una delle sorelle del capomafia e alla nipote Lorenza Guttadauro, avvocato e difensore del boss.
Il testamento biologico di Messina Denaro
Per volontà espressa nel suo testamento biologico, Messina Denaro ha rifiutato l’accanimento terapeutico. Venerdì scorso gli è stata interrotta l’alimentazione ed è stato dichiarato in coma irreversibile. Nei giorni scorsi la Direzione sanitaria della Asl dell’Aquila ha cominciato a organizzare le fasi successive alla sua morte e quelle della riconsegna della salma alla famiglia, rappresentata da Lorenza Guttadauro e Lorenza Alagna.
I mesi di carcere e il mancato pentimento
Nella sua vita da detenuto, come altri padrini prima di lui, Messina Denaro ha avuto una condotta impeccabile. Letture, poca tv, le terapie, le lettere e le visite della figlia naturale, Lorenza. I magistrati, in questi mesi di detenzione, l’ex latitante li ha incontrati tre volte accettando di rispondere alle domande di procuratori, pm e gip.
“Io non mi pento“, ha messo in chiaro da subito il boss, ammettendo solo quel che non poteva negare, come il possesso della pistola trovata nel covo. Negato tutto il resto: l’appartenenza a Cosa Nostra, gli omicidi, specie quello del piccolo Di Matteo, il figlio del pentito rapito, strangolato e ucciso, le stragi, i traffici di droga. “Stavo bene di famiglia“, ha spiegato ribadendo che comunque dei suoi beni, tutti ancora da trovare, non avrebbe parlato.
Sfuggito per trent’anni allo Stato
Sessantuno anni, il capo del mandamento di Castelvetrano e boss della mafia nel Trapanese era entrato in latitanza nel 1993, in piena epoca stragista, con le bombe a Roma, Milano, Firenze ed era uno dei maggiori ricercati al mondo.
Le stragi di Capaci e Via D’Amelio
Storico alleato dei Corleonesi di Toto Riina, fu Paolo Borsellino a iscrivere il nome di Messina Denaro per la prima volta in un fascicolo giudiziario nel 1989. Da allora il boss è stato raggiunto da mandati di cattura per associazione mafiosa, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materiale esplosivo, furto e numerosi altri reati.
Nei più gravi fatti criminali degli ultimi trent’anni, a cominciare dalle stragi del ’92 in cui furono uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è stata riconosciuta la sua mano. Lui stesso, del resto, si vantava di avere “ucciso tante persone da riempire un cimitero”.
L’omicidio del piccolo Di Matteo
A novembre del ’93 Messina Denaro si rese responsabile di uno dei fatti di sangue più macabri della sua carriera criminale, organizzando il sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, 13enne figlio di un pentito, per costringere il padre a ritrattare le rivelazioni rese agli inquirenti sulla strage di Capaci. Il ragazzo venne strangolato e il cadavere sciolto nell’acido dopo una lunga prigionia durata 779 giorni.
Messina Denaro più volte vicino alla cattura
Noto anche come “U siccu” per la corporatura magra, l’ultimo capo dei capi è stato più volte vicino alla cattura nel corso degli anni. Nel 2010 un collaboratore di giustizia dichiarò che Messina Denaro avrebbe assistito a una partita del Palermo allo stadio Barbera utilizzando l’occasione per incontrare altri boss con i quali organizzare attentati dinamitardi contro il Palazzo di Giustizia e la squadra mobile di Palermo.
Nel 2015 l’emittente Radio Onda Blu avrebbe diffuso le immagini satellitari di una sua presunta abitazione a Baden in Germania e di una sua auto. Tra legami internazionali in sud America e sospetti di vicinanza alla politica, sarebbe sempre scampato alla cattura.
L’arresto la mattina del 16 gennaio 2023 alla clinica La Maddalena di Palermo, dove era in cura per un cancro al colon. “Se non mi fossi ammalato non mi avreste preso“, disse nei mesi successivi ai pm, spiegando come fosse stato il cancro a fargli abbassare le difese e a portarli sulle sue tracce.