Un omicidio premeditato per sei mesi e «programmato in ogni dettaglio». Alessandro Impagnatiello, condannato all’ergastolo per aver ucciso la fidanzata Giulia Tramontano nella loro abitazione a Senago il 27 maggio 2023, avrebbe «accarezzato l’idea di sbarazzarsi» di lei almeno dal dicembre dell’anno prima, quando la donna aveva scoperto di essere incinta. È quanto scrivono i giudici della Corte d’Assise di Milano nelle motivazioni della sentenza a quasi tre mesi dalla condanna nei confronti dell’ex barman. In 115 pagine la presidente Antonella Bertoja, con la giudice a latere Sofia Fioretta, ricostruiscono l’inchiesta e il processo di uno dei femminicidi più cruenti e mediatici d’Italia.

Femminicidio pianificato sei mesi prima

Un «proposito criminoso», quello di Impagnatiello, che in quei sei mesi non sarebbe più stato abbandonato. «Anzi – si legge -, lo ha fatto crescere e maturare dentro di sé, mentre in via parallela e speculare si intensificava e consolidava la relazione segreta» con un’altra donna. È questo, infatti, ciò che avrebbe spinto l’ex barman a pianificare di uccidere la compagna. Dapprima, somministrandole a sua insaputa del veleno per topi sul quale ha fatto ricerche online fin dal 12 dicembre 2022, poi aggredendola con 37 coltellate.

La svolta: l’incontro tra Giulia e l’amante di Impagnatiello

Il giorno del delitto ci sarebbe stata «una svolta», ossia l’incontro tra Giulia e la collega con cui il 31enne aveva una relazione parallela. Nelle ore precedenti, quest’ultima aveva inviato a Giulia le prove del tradimento di cui l’agente immobiliare, originaria di Sant’Antimo in Campania, sospettava da gennaio. «Di prove ne ho mille, ho iniziato a registrare, ti farò ascoltare tutto. Ti prego salvati appena puoi, proteggi te e tuo figlio – si legge nelle chat agli atti del processo -. Se avessi scelto di tenere il mio bambino sarei nella tua situazione. Io soffro ancora per l’aborto, per questo adesso voglio e devo salvare te».

Durante l’incontro le due donne «si sono rivelate reciprocamente tutte le menzogne» attraverso cui Impagnatiello le aveva «controllate, manipolate e tenute in scacco come ‘pedine’ sulla fantomatica ‘scacchiera’ narrata con vanto ai periti». Impagnatiello comprende «che il castello di bugie» con cui aveva tenuto in «scacco» la compagna e la collega «era crollato».

Alessandro Impagnatiello

Impagnatiello «zimbello» dei colleghi

Sempre quel giorno, a quanto osserva la Corte presieduta da Antonella Bertoja, l’uomo avrebbe anche realizzato di «essere diventato a sua insaputa lo ‘zimbello’ di tutti i colleghi dell’Armani Cafè», bar di lusso in cui lavorava, i quali sapevano «già da una settimana» di tutte le sue bugie. Per lui una «ferita narcisistica» – diranno gli psichiatri – che ha «scosso le sue certezze dalle fondamenta» e che, aggiunta all’amante «perduta per sempre» e a Tramontano che «stava per lasciarlo», lo porta ad abbandonare il «modus operandi subdolo, insidioso e prudente, utilizzato nei mesi precedenti» (la somministrazione di veleno per topi alla fidanzata incinta) e a «imprimere una accelerazione» al «proposito criminoso maturato» sei mesi prima e «mai abbandonato».

Il momento dell’omicidio di Giulia

Una volta che Giulia è tornata a casa, lui l’ha sorpresa con un «agguato». Delle 37 coltellate con cui l’ha colpita, 11 le sono state inferte «mentre era ancora viva». Da qui la decisione dei giudici di riconoscergli, oltre alla premeditazione, anche l’aggravante della crudeltà. Non solo: «Nel momento in cui è stata attinta dai primi fendenti – osservano -, mentre si trovava ancora in vita e comprendeva che il compagno la stava uccidendo, Giulia ha senz’altro realizzato, sebbene per una manciata di secondi, che insieme con lei moriva anche il nascituro che portava in grembo». Un pensiero che ha «senz’altro provocato» in lei una «sofferenza ulteriore».

Impagnatiello agisce fuori programma

Nelle ore e nei giorni successivi Impagnatiello perde lucidità. Incendia il cadavere nella vasca da bagno, invia messaggi dal cellulare e al cellulare di Giulia fingendo che la stessa sia in vita. Sposta il cadavere senza un ordine apparente fra l’appartamento, il box, la cantina e l’auto fino a quando la sera fra il 30-31 maggio lo abbandona semi carbonizzato, avvolto dentro sacchi gialli e neri per la spazzatura. Lo farà ritrovare la notte successiva durante l’interrogatorio. Agisce in modo «improvvisato, grossolano, rudimentale e imprudente» fino al fermo di indiziato di delitto 96 ore dopo solo perché il «progetto di far sparire il corpo di Giulia dopo l’omicidio, riducendolo in cenere nella vasca da bagno di casa» ha subìto «un imprevisto», scrivono i giudici. Cioè il corpo della ragazza «nonostante i tentativi di combustione non spariva ‘come un fazzoletto’» come «puerilmente» l’ex barman «aveva pensato».