Anche se una coppia si separa, il consenso dell’uomo dopo la fecondazione avvenuta tramite procreazione medicalmente assistita non può essere revocato. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, sottolineando l’irrevocabilità del consenso dell’uomo dopo la fecondazione dell’ovulo.
Fecondazione assistita, il caso in questione
Il caso, risalente al 2017, era stato sollevato da un giudice al quale una donna aveva chiesto l’impianto dell’embrione fecondato e crioconservato anche se lei e il marito nel frattempo si erano lasciati. L’uomo, interrottasi la relazione nel 2019, non aveva più intenzione di diventare padre: nel febbraio 2020 ha ritirato il consenso all’applicazione delle tecniche di pma che aveva firmato in precedenza.
Fecondazione assistita, “comune progetto genitoriale”
La Consulta – con la sentenza numero 161 redattore Luca Anonini – ha sancito che dopo la fecondazione dell’ovulo l’uomo che ha dato in precedenza il suo consenso non può più cambiare idea. L’accesso alla pma comporta infatti “per la donna il grave onere di mettere a disposizione la propria corporalità, con un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenze, e che ha un punto di svolta nel momento in cui si vengono a formare uno o più embrioni“. “Corpo e mente della donna – si legge – sono inscindibilmente interessati in questo processo, che culmina nella concreta speranza di generare un figlio, a seguito dell’impianto dell’embrione nel proprio utero. A questo investimento, fisico ed emotivo, che ha determinato il sorgere di una concreta aspettativa di maternità, la donna si è prestata in virtù dell’affidamento in lei determinato dal consenso dell’uomo al comune progetto genitoriale“.
Respinta la questione di legittimità
La Corte costituzionale ha considerato non fondata la questione di legittimità sollevata da un giudice del tribunale di Roma riguardo l’articolo 6, comma 3, ultimo periodo, della legge 40 del 2004. La norma rende possibile, per effetto della crioconservazione, la richiesta dell’impianto degli embrioni non solo a distanza di tempo ma anche quando sia venuto meno l’originario progetto di coppia.
Il tema della responsabilità sollevato dalla Consulta
La Consulta ha inoltre evidenziato che “se è pur vero che dopo la fecondazione la disciplina dell’irrevocabilità del consenso si configura come un punto di non ritorno, che può risultare freddamente indifferente al decorso del tempo e alle vicende della coppia, è anche vero che la centralità che lo stesso consenso assume nella pma, comunque garantita dalla legge, fa sì che l’uomo sia in ogni caso consapevole della possibilità di diventare padre; ciò che rende difficile inferire, nella fattispecie censurata dal giudice a quo, una radicale rottura della corrispondenza tra libertà e responsabilità“.