Sara Campanella e Ilaria Sula sono entrate nel macabro elenco delle vittime di femminicidio. Entrambe 22enni. Entrambe studentesse universitarie: Sara Campanella frequentava Tecniche biomediche all’Università di Messina, Ilaria Sula studiava Statistica alla Sapienza di Roma. Entrambe accoltellate da coetanei che non accettavano il fatto che avessero detto No.
Femminicidi di giovani donne
Siamo convinte – e la cronaca purtroppo sembra darci ragione – che la difficoltà a gestire il rifiuto sia all’origine di tanti femminicidi, per questo affrontiamo di nuovo il tema con l’aiuto di Giuseppe Di Rienzo, direttore generale di Fondazione Libellula che nella Survey Teen 2024 ha indagato la consapevolezza degli adolescenti su questo argomento. «Sempre più spesso, dietro all’uccisione di una ragazza, c’è l’incapacità di accettare un No» spiega. «Il problema non sta nel rifiuto in sé, ma nel modello culturale di mascolinità distorta che non permette ai giovani di accettare quel No, quella frustrazione che diventa un’umiliazione, una minaccia all’identità di maschio dominante, forte, vincente, prestante».
Femminicidi di giovani donne: nessuno nasce violento
Urge un cambio culturale. «Si può fare qualcosa, anche perché nessun uomo nasce violento. Bisognerebbe però insegnare che il valore di un ragazzo sta nel rispetto che mostra, non nella forza che impone». Rispetto, per Di Rienzo, è il concetto chiave da cui partire. E su cui bisognerebbe creare un percorso educativo che affianchi quello sulle emozioni. «È un termine ampio, che non spaventa gli uomini e che ci permette di affrontare con più facilità temi come il consenso, il conflitto e la gestione della frustrazione». Ed è una parola che ha il potere di unire tutti gli spazi, fisici e mentali, dove i ragazzi abitano, dalle famiglie alle scuole, dalle università alle aziende. «Non dimentichiamo che più di 2 milioni di casi di molestie avvengono proprio sul luogo di lavoro».
La risposta degli Atenei ai femminicidi di giovani donne
Università, un luogo dove poter costruire il proprio futuro. Ma anche dove, al contrario di quanto successo a Ilaria e Sara, essere sicure e poter chiedere aiuto se ci si sente in pericolo, se si capisce che la relazione che si sta vivendo ha qualcosa che non va. E dove, soprattutto, poter ricevere gli strumenti necessari per riconoscere e prevenire la violenza di genere. Per questo in diversi atenei italiani – Trento, Torino, Pisa, Bologna, Roma – sono attivi sportelli anti-violenza. E in altri sono stati avviati corsi multidisciplinari per insegnare ai ragazzi a individuare le problematiche sottese alla violenza di genere.
Il corso all’Università degli Studi di Milano
Come quello dell’Università degli Studi di Milano. «Noi lo abbiamo attivato già dal 2022, è aperto agli studenti di tutti i corsi di laurea della nostra facoltà e in media si iscrivono tra i 30 e i 35 ragazzi all’anno. Dura 20 ore e prevede interventi di professionisti di vari ambiti: docenti di Diritto, avvocate, pubblici ministeri, referenti di centri antiviolenza, attrici» dice Irene Pellizzone, titolare del corso Violenza di genere: percorsi formativi interdisciplinari, professoressa di Diritto costituzionale e delegata della Rettrice per la prevenzione della violenza di genere. «È fondamentale lavorare sull’educazione e sulla cultura della prevenzione, perché la violenza di genere è ancora un fenomeno sommerso e solo rendendo i ragazzi più consapevoli possiamo fornire loro gli strumenti necessari per riconoscerla, prevenirla, denunciarla».
Il corso alla Sapienza di Roma
Della stessa idea è Antonella Polimeni, Rettrice della Sapienza di Roma, l’università di Ilaria. «Da pochi giorni è in rete Cassetta degli attrezzi contro la violenza di genere, un corso di 20 ore. Per capire quanto i ragazzi ne sentano il bisogno, basti pensare che nelle prime 24 ore si sono iscritti in più di 1.000» ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera.