«La scuola dei miei figli è stata bombardata dall’esercito israeliano a fine luglio: sono morti 100 civili. Molti avevano l’età dei miei bambini». Youmna El Sayed, giornalista egiziana-palestinese, per più di 10 anni è stata la corrispondente da Gaza per Al Jazeera English. Oggi vive al Cairo insieme al marito palestinese e ai loro quattro figli di 13, 12, 9 e 6 anni. Il 7 e l’8 settembre sarà in Italia, al Festival di Emergency a Reggio Emilia, per partecipare a due incontri: Libertà di stampa in pace e in guerra e Raccontare Gaza.

Intervista a Youmna El Sayed, fuggita da Gaza

Youmna El Sayed
Youmna El Sayed

«Questa guerra non risparmia niente e nessuno: ospedali, medici, ambulanze sono presi di mira, esattamente come i giornalisti, che vengono deliberatamente uccisi per impedire loro di raccontare» esordisce.

Come si racconta una guerra lunga più di 70 anni eppure mai uguale a se stessa?

«Purtroppo Gaza è tagliata fuori dal resto del mondo e questo conflitto, che io considero un genocidio, ci ha riportati all’età della pietra. Si usa la legna per cucinare perché non c’è gas, le malattie si diffondono e la disperazione negli occhi dei bambini è l’unica cosa che vedi. Ogni mattina mi sveglio e mi dico: “Chi lo dirà al mondo?”. Se una storia non viene raccontata per un giorno o due, viene dimenticata».

Quando ha deciso di lasciare la Striscia?

«A fine dicembre, 3 mesi dopo l’inizio di quest’ultimo conflitto. Come giornalista, sono finita nel mirino delle forze militari israeliane e ho ricevuto numerose minacce. Un giorno i soldati hanno iniziato a sparare sulla casa, dandoci 5 minuti per prendere le nostre cose e scappare. Ma anche la fuga non è stata semplice: ovunque andassimo eravamo bersaglio di proiettili e bombe. Abbiamo dovuto camminare a piedi per chilometri, passando accanto ai corpi di civili uccisi e abbandonati per strada come “monito” lungo quello che doveva essere un corridoio umanitario sicuro. Da reporter sentivo il dovere di raccontare quell’orrore, ma anche di proteggere i miei figli».

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Lo sciopero nazionale contro il primo ministro Benjamin Netanyahu

La fuga della famiglia da Gaza

Riscontra in loro segni del trauma?

«Dopo l’evacuazione, per molti mesi i più piccoli volevano dormire solo attaccati a me. Quando eravamo a Gaza e sentivamo le bombe, loro dicevano che dovevamo rimanere tutti vicini perché era meglio morire insieme che sopravvivere da soli».

E i più grandi?

«Mia figlia maggiore è arrabbiata e sente che, anche se adesso siamo al sicuro in Egitto, questo Paese è complice di tutto ciò che continua ad accadere. Dopo il nostro arrivo, per settimane non abbiamo avuto nulla da mangiare né da bere. Il maschio più grande, che aveva un carattere aperto, oggi si mangia le unghie fino a farsi uscire il sangue. Una volta mi ha detto: “Mamma, sento come se la mia vita si fosse spenta”».

Lei e suo marito vi siete conosciuti in Egitto, all’università. Perché poi avete deciso di vivere a Gaza?

«È capitato. Mio marito era andato lì dopo l’offensiva israeliana del 2014 per verificare come stesse la sua famiglia ed è rimasto bloccato. L’unica possibilità di riunirci era che io lo raggiungessi: ero incinta del terzo figlio ed ero convinta che saremmo riusciti a rientrare al Cairo subito dopo il parto. Invece la prima occasione è arrivata solo dopo 2 anni. La limitazione nei movimenti, da e per Gaza, c’è sempre stata».

Come si viveva prima a Gaza

Com’era una vostra giornata-tipo prima del 7 ottobre?

«Nonostante le difficoltà, la nostra era una vita tranquilla, oserei dire felice. Avevamo una bella casa, i bambini andavano a scuola e facevano karate e calcio. Io e mio marito passavamo il tempo al lavoro, con gli amici, in palestra».

Come giornalista trova più “semplice”, se così si può dire, raccontare Gaza ora che siete in Egitto o mentre eravate lì?

«Mi era capitato già altre volte di raccontare il conflitto israelo-palestinese dai Territori, ma mai avevo visto questa ferocia. In passato, quando ero vicina ai luoghi della battaglia, perlomeno ero certa che i miei figli fossero al sicuro: i bombardamenti non colpivano le aree residenziali come la nostra. E poi c’erano cibo, acqua, elettricità. Questa volta, no. Il secondo giorno la nostra casa è stata bombardata, non c’era più un confine tra il mio lavoro di reporter e la necessità di provvedere alla salvaguardia della mia famiglia».

Mentre parliamo sono in corso trattative per una tregua. Lei cosa vede nel futuro di Gaza?

«Il futuro è buio. Anche i palestinesi che sono riusciti a rifugiarsi altrove sono come prigionieri. Chi, a differenza di me, non ha un’altra cittadinanza non riesce a ottenere un permesso di studio, soggiorno, lavoro o qualsiasi altro documento. Significa che i bambini non possono andare a scuola, gli adulti lavorare o pagare un affitto. Mio marito, docente universitario, riceve di continuo inviti dalle università europee ma, non potendo ottenere il visto, deve declinare».

Noi gente comune che cosa possiamo fare?

«Sensibilizzare gli altri e insieme fare pressioni sui governi, affinché spingano per il cessate il fuoco e aiutino i civili palestinesi a superare questo isolamento».

L’Isis ha rivendicato il recente attentato a Solingen, in Germania, dichiarandolo una “vendetta nel nome dei musulmani in Palestina”. Ciò che sta avvenendo nella Striscia può portare a una recrudescenza del terrorismo islamico?

«Considerare il mondo arabo un unicum è un errore dell’Occidente. L’Isis considera Hamas un gruppo di “infedeli” che andrebbe eliminato; Hamas, dal canto suo, ha respinto l’ideologia dell’Isis. Qualsiasi musulmano considera l’Isis un gruppo terroristico perché il credo dell’Islam non è uccidere, ma diffondere pace e amore. La nostra storia è ricca di relazioni con altre religioni ed è questo l’insegnamento che vogliamo continuare a dare».

Al Festival di Emergency

Sono “Le persone” il filo conduttore della quarta edizione del Festival di Emergency, a Reggio Emilia dal 6 all’8 settembre, che celebra anche i primi 30 anni dell’organizzazione umanitaria fondata da Gino Strada. Si parlerà dei grandi temi del nostro tempo: diritti, salute, migrazioni, guerra. Tra i tantissimi ospiti, Paolo Giordano, Sonia Bergamasco, Telmo Pievani. Ingresso gratuito. Il programma è su emergency.it/festival/.