Aumentano le assunzioni di lavoratori immigrati da parte delle aziende italiane, ma permane il fenomeno del gender gap. Il 2023 ha segnato un record storico: le imprese del Belpaese hanno, infatti, programmato di assumere 1.057.620 persone.
Tuttavia, non mancano le criticità. Per quanto riguarda le lavoratrici, per esempio, le donne extra-Ue sono le più penalizzate. È quanto emerge dal XXIX Rapporto sulle migrazioni 2023 di Fondazione Ismu Ets, che produce e sostiene ricerche e iniziative sulla società multietnica e multiculturale e sui fenomeni migratori.
Prevale il “lavoro povero”
In particolare, secondo il report, nel nostro Paese gli immigrati sono fortemente coinvolti nel fenomeno del “lavoro povero”, a sua volta anticamera, per molti lavoratori stranieri e per le loro famiglie, della caduta in una condizione di povertà assoluta o relativa. Tra le donne lavoratrici, poi, quelle extra-europee risultano maggiormente penalizzate.
Gender gap: ecco chi sono le più penalizzate
Nel 2022 i tassi di occupazione femminili delle donne extra-Ue sono molto più bassi rispetto alle italiane (43,7% contro 51,5%). Al vertice della classifica dell’inattività ci sono le donne di età tra 15 e 64 anni originarie del Bangladesh e del Pakistan, con tassi nel 2022 rispettivamente pari al 92,3% e all’89,8%. Seguono le donne con cittadinanza egiziana (85,1%), indiana (76,6%), tunisina (70,1%) e marocchina (69,2%).
Le più colpite dalla disoccupazione sono le donne egiziane, con un tasso del 68,5% nel 2022. Tassi di disoccupazione allarmante sono segnalati anche per le senegalesi (49,8%), tunisine (35%), marocchine (27%) e srilankesi (25,8%).
Quando a lavorare meno sono gli uomini
Tuttavia, secondo il report, mentre quasi sempre i tassi di attività sono favorevoli agli uomini rispetto alle donne, esistono però diversi gruppi nazionali dove sono i maschi a scontare un differenziale di genere negativo nei tassi di disoccupazione.
Vale, per esempio, per chi arriva da Ucraina (13,5% vs 8,8%), Filippine (9,5% vs 6,4%), Perù (11,6% vs 8,3%) ed Ecuador (16,9% vs 14,4%).
Gender gap: ecco le cause
Quanto alle cause del gender gap per le donne extra-Ue, tra i fattori penalizzanti ci sono bassi livelli di istruzione e scarsa conoscenza della nostra lingua, ma anche la difficoltà a conciliare gli impegni familiari con il lavoro.
Se è vero, però, che gli immigrati sono decisamente meno istruiti degli italiani, è anche vero che sono maggiormente coinvolti nel fenomeno dell’overqualification. La quota di lavoratori stranieri laureati occupati in una professione low o medium skill è pari al 60,2% nel caso dei cittadini non Ue e al 42,5% nel caso degli Ue, a fronte del 19,3% stimato per gli italiani.
Pesa il mancato riconoscimento dei titoli acquisiti all’estero: meno del 3% degli stranieri possiede un titolo estero riconosciuto in Italia.
Il fenomeno dell’overqualification
Secondo i dati di uno studio ad hoc Istat (2023a) discussi all’interno del Rapporto, sul problema dell’overqualification incidono anche fattori legati alla cittadinanza – italiana per nascita, straniera o italiana per acquisizione – e al genere.
Per esempio, il vantaggio di possedere la laurea, rispetto alla licenza media, è di circa 40 punti percentuali in termini di tasso di occupazione tra gli italiani dalla nascita, quasi si dimezza tra i naturalizzati e scende sotto i 9 punti tra gli stranieri.
Tra le donne, possedere una laurea migliora il tasso di occupazione di ben 51 punti tra le autoctone, di 29 punti tra le naturalizzate e di soli 17 punti tra le straniere. Per chi ha al massimo la licenza media, il tasso di occupazione degli stranieri è invece superiore a quello degli autoctoni e dei naturalizzati.