Davanti alla Corte d’Assise di Venezia, presieduta da Stefano Manduzio, il pm Andrea Petroni chiede il massimo della pena per Filippo Turetta, il 23enne di Torreglia, nel Padovano, reo confesso dell’omicidio della ex fidanzata Giulia Cecchettin, uccisa l’11 novembre 2023.
«Non c’è alternativa all’ergastolo»
Nell’omicidio di Giulia Cecchettin «ci sono stati premeditazione, crudeltà e stalking, e non c’è alternativa all’ergastolo» per Filippo Turetta. La sua «colpevolezza non è in dubbio: le prove sono talmente evidenti, c’è l’imbarazzo della scelta», sostiene il pm Petroni in aula.
Una richiesta di ergastolo per il 23enne reo confesso suffragata da una doppia narrazione. Dapprima quella dei fatti, rispetto ai quali il pm è partito dalla sera del delitto – l’11 novembre 2023 – proseguendo con la fuga di Turetta fino in Germania, e poi tornando sulla ricostruzione del rapporto «malato» tra i due, viziato dall’ossessione di possesso dell’imputato. Quest’ultimo, presente in aula, ascolta il racconto del pm a capo chino, senza nemmeno dialogare con i propri legali.
Turetta e la preparazione dell’omicidio
C’è poi la ricostruzione per capi d’accusa, intrecciati con le fasi del racconto dell’omicidio. Non c’è solo l’omicidio quell’11 novembre, ha sostenuto Petroni, c’è la sua preparazione, che diventa premeditazione. La famosa «lista delle cose» da fare scritta da Turetta il 7 novembre – quattro giorni prima del delitto – quando Giulia non voleva più parlare con lui, poi aggiornata giorno per giorno con gli acquisti dallo scotch per legarla, un calzino per tapparle la bocca, i sacchi neri, i coltelli, la provvista di denaro contante e il pieno di benzina all’auto.
Man mano che Turetta si rende conto che Giulia non tornerà più assieme a lui, ecco che inizia la caccia ai luoghi dove occultare un cadavere, le mappe cartacee per la fuga, la ricerca dei metodi per scomparire dai social e ostacolare così le future indagini delle forze dell’ordine; fino all’occultamento del corpo di Giulia, in un anfratto di roccia di un luogo quasi inaccessibile, vicino al lago di Barcis in Friuli. Qui, dove sono entrati in scena – riassume sempre il pm – i sacchi neri per nascondere il cadavere, l’abbandono degli effetti della ragazza, la sparizione del suo telefono e del pc. Tutto documentato da video delle telecamere lungo le strade recuperati dai Carabinieri, e dai device di Turetta.
La brutalità dell’omicidio
Terribili i momenti vissuti in aula quando Petroni affronta i passaggi sui tempi e la brutalità dell’azione omicida, l’altra aggravante che fa rischiare l’ergastolo a Turetta. «Immaginate cosa significhi essere silenziati, lo scotch e la pressione sulla bocca, i 25 tagli sulle mani, le ferite, le urla: la crudeltà». Secondo l’autopsia, sono state 75 in totale le coltellate alla ragazza, tra cui quelle alla nuca che hanno reciso una arteria e una vertebra del collo, «lesioni inferte con una certa violenza, ferite da difesa prodotte quando chi le subisce è vigile, in tre luoghi e tre momenti diversi», fino ai colpi quando ormai la vittima era inerme. «Le lesioni mostrano l’evidenza di una particolare brutalità», rimarca Petroni.
Le minacce di Turetta a Giulia
Il Pm ha invitato il collegio giudicante a rivedere i video che documentano dettagliatamente il delitto e poi ancora, dopo aver letto numerosi brani, a rileggere e ascoltare i dialoghi via social, quelli in cui Turetta minacciava Giulia, si lamentava con le lei, presentandosi come «vittima», e quelli di Giulia, che raccontava di avere ormai «paura di Filippo», confidandosi con le amiche, spiegando che di quel ragazzo non ne voleva più sapere.
La richiesta delle parti civili
Poi spazio alle parti civili, quelle del padre di Giulia, Gino Cecchettin, della sorella Elena, il fratello Davide, la nonna Carla e lo zio Alessio. I legali hanno lanciato sostanzialmente un messaggio: Giulia deve essere un simbolo, dentro e fuori dall’aula, è stata uccisa per motivi futili e abbietti. La richiesta complessiva di risarcimento è stata indicata in 2.150.000 euro.
Oggi parola alla alla difesa, con l’avvocato Giovanni Caruso che potrebbe tentare la carta della “giustizia riparativa” (non uno sconto di pena, ma un percorso di “redenzione”). Il 3 dicembre le eventuali repliche e la sentenza.
Gino Cecchettin, ergastolo? «Vengano solo applicate le leggi»
«Mi aspetto solo che vengano applicate le leggi. Io sono già morto dentro di fatto. La mia battaglia, ma preferirei chiamarla il mio percorso, è fuori dall’aula. Per me non cambierà nulla, Giulia non la rivedrò più». Queste le parole di Gino Cecchettin, padre di Giulia, intervistato nel corso di 5 in condotta su Rai Radio 2, a proposito della richiesta di ergastolo nel processo a Filippo Turetta. «L’unica cosa che posso fare – ha proseguito Cecchettin – è prodigarmi, come farebbe Giulia, per fare in modo che ce ne siano il meno possibile di casi come il suo, di genitori che debbano piangere una figlia morta. Io so cosa vuol dire e lavorerò per questo».